L’Espresso di De Benedetti pubblica notizie false

L'Espresso di De Benedetti pubblica notizie false
La rivista gioca sporco dimostrando la caduta di stile del giornalismo italiano.

Una delle principali riviste italiane, «l’Espresso», è appena uscita in edicola con un’inchiesta dal chiaro intento diffamatorio, relativa a presunti loschi traffici, “attività parallele” dell’autista di Beppe Grillo, Walter Vezzoli.
Il settimanale, proprietà di Carlo De Benedetti, muove insinuazioni pesanti a “Grillo, l’autista e la cognata” da cui il titolo dell’articolo: si parla di “resort extra lusso” e di “una costellazione di società dotate di capitali sociali minimi” alludendo alla volontà di evadere il fisco essendo la Costa Rica, secondo «l’Espresso», inserito dal Tesoro italiano nella black list dei paradisi fiscali. Viene anche messo di mezzo un amministratore di una di queste società (la Armonia Parvin), Enrico Cungi, un italiano residente in Costa Rica che sarebbe stato coinvolto, sempre secondo la rivista di De Benedetti, in vicende di narcotraffico, salvo poi ammettere nello stesso articolo che “non risultano condanne a suo carico”, forse per pararsi il culo.

Peccato che questa ridicola inchiesta dimostri ancora una volta la superficialità ed il bassissimo livello del giornalismo italiano, servo dei poteri forti e dei propri padroni.
Tanto per iniziare, bastava fare una verifica minima per scoprire che il resort di cui tanto parla «l’Espresso» non esiste. Come dichiarato dallo stesso Walter Vezzoli, in un’intervista rilasciata a “Il Fatto Quotidiano”: «Una premessa: l’articolo parla di un resort che non esiste e che non doveva neppure esistere. Il mio sogno era quello di creare trenta abitazioni autosufficienti dal punto di vista energetico, con depuratori che riciclassero l’acqua piovana, pannelli solari. Le pale eoliche. Un sogno. Solo che non ho mai trovato gli investimenti e quindi il villaggio è rimasto sulle scartoffie di società aperte e chiuse. I giornali oggi mi indicano come l’uomo delle società anonime all’estero, ma io all’estero vivevo. In Costa Rica è cresciuto mio figlio, io ero il proprietario di una discoteca: dove avrei dovuto registrare le società? A parte che non ho un centesimo, ma non c’era niente da scudare. Perché lì lavoravo e avevo progetti. Beppe Grillo? Non é mai stato in Costa Rica. Investimenti di Grillo? Ma di cosa stiamo parlando? Vedrò cosa fare, se ci sono gli estremi di una querela. Ma il resort di cui parla «l’Espresso» non esiste, non è mai esistito. Io andai a vedere trenta ettari di terreno e nelle mie intenzioni quindici dovevano essere edificati. Ma non ho comprato neanche un metro. “Armonia Parvin”, quella che viene additata come una fantomatica società e forse riconducibile a Grillo era un negozio di prodotti biologici di 20 metri quadri, poi chiuso perché non produceva guadagni. Parvin è il nome della moglie di Grillo, ma la titolare del negozio era appunto la sorella di Parvin. Poteva semplicemente piacerle il nome».

Ecco svelato l’arcano. Bastava fare poi un’altra verifica, della durata più o meno di venti secondi, per scoprire, consultando Wikipedia, che la Sociedad Anónima (S.A.) di cui parla «l’Espresso» corrisponde semplicemente, in quasi tutti i Paesi di lingua spagnola, alla nostra Società per Azioni. E con altri venti secondi, questi giornalisti da quattro soldi avrebbero potuto consultare la lista OCSE per rendersi conto che la Costa Rica non rientra nei paradisi fiscali dal 2011 (senza considerare che casomai, in precedenza, era stata inserita nella “grey list” e non nella “black list” come grossolanamente riportato dalla rivista).

Appare evidente l’intenzione di questa “inchiesta” da meretrici del giornalismo dilettantesco, sullo stesso livello del recente episodio del programma condotto da Barbara D’Urso. I personaggi che per anni sono rimasti incollati alle poltrone della politica per sfruttarne i privilegi, mandando l’Italia in rovina con assoluto menefreghismo, hanno iniziato a vacillare con la vittoria del Movimento Cinque Stelle e stanno cercando con tutti i mezzi, soprattutto con quelli più biechi, di affossare il Movimento.
I penosi pennivendoli autori dell’articoletto da carta straccia del settimanale di Carlo De Benedetti (tessera n. 1 del PD) hanno pure il coraggio di scrivere: «Il livello di trasparenza delle informazioni societarie in Costa Rica è tra i più bassi al mondo». Sarà, ma parlando di informazioni, si scordano che nelle classifiche internazionali sulla libertà di stampa, come quella stilata da Reporter Senza Frontiere, l’Italia risulta più in basso della Costa Rica e in continuo peggioramento (al 61° posto l’Italia, in netta discesa contro il 19° posto della Costa Rica, in continuo miglioramento). E tutto ciò grazie anche a questi miserabili giornalisti leccaculo.

Chissà perché non parlano dei loschi traffici del padrone del settimanale per il quale scrivono, lo spregiudicato arraffatore Carlo De Benedetti. Quello che nel 2009 ha preso la cittadinaza in Svizzera per “motivi affettivi”, mica per non pagare le tasse, chiaro. Quello che nel 1999 attraverso l’Olivetti, durante il governo D’Alema, tramite Roberto Colaninno, intraprende la scalata di Telecom. Tanto per rispolverare la memoria: Colaninno, sfruttando la classica serie di società fantasma con sede nel noto paradiso fiscale delle isole Cayman, arriva a controllare Telecom con appena lo 0,3 per cento delle azioni. Il “Financial Times” definì la scalata “una rapina in pieno giorno”. Altro che Costa Rica. De Benedetti è quello che ha spolpato le più grandi società italiane. È quello che, sul nascere dell’era dei personal computer, rifilò alle Poste italiane, grazie all’amico Visentini, centinaia di migliaia di obsolete telescriventi, rottamate dallo Stato qualche anno più tardi ancora negli imballaggi originali. Il proprietario de «l’Espresso» ci guadagnò 145miliardi di Lire.

I danni e le ruberie fatte da De Benedetti ai danni dell’Italia e degli Italiani meriterrebbero un’inchiesta, vera, se non un’enciclopedia, altro che i resort inesistenti dell’autista di Grillo.
Purtoppo anche gli autori di questo scoop dei poveri rientrano nella massa dei giornalisti da quattro soldi che vengono pagati 5 euro ad articolo. Così a questi disgraziati tocca pure leccare il culo al padrone. Dovessero fare del giornalismo d’inchiesta serio farebbero la fine di Ilaria Alpi.

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8 risposte a L’Espresso di De Benedetti pubblica notizie false

  1. raimondorizzo ha detto:

    Fabbricare una notizia è avvilente o esiziale. Se inconsapevole è sintomo di delirio, se consapevole diventa reato. In entrambi i casi vi è di fondo un assoluto terrore del “nuovo” che avanza, caratterizzato,altresì, da una totale incapacità di gestire uno status considerato inverosimile: la democrazia. Il giornale in oggetto perde così ogni alone di attendibilità per me e per molti altri che lo leggevano quotidianamente. Mi limiterò adesso alla sola lettura della rubrica sull’eros…che non è presente naturalmente. Ad maiora

    • sporchibanchieri ha detto:

      Pensa quanti soldi gli abbiamo dato in tutti questi anni. Se facciamo un calcolo relativo, prendendo ad esempio il classico padre di famiglia della “classe media”, quello in teoria con una discreta preparazione culturale, vengono fuori cifre allucinanti: considerando un giornale come “la Repubblica” (ma anche altri giornali, magari “di destra”, è uguale) sono almeno un euro al giorno, più l’Espresso una volta a settimana tre euro, più almeno uno dei soliti allegati, sia esso un cd, il volume dell’enciclopedia storica, il libro d’autore o l’albo a fumetti: circa sette euro. Facciamo quindici euro a settimana, ossia sessanta euro al mese. Sono almeno seicento euro all’anno. Moltiplicalo per gli anni che vuoi. Considera che, secondo i dati forniti dallo stesso giornale, le copie medie diffuse al giorno nel 2011 sono quasi mezzo milione. Metti che solo un quinto di questi rientrino nel nostro esempio. Fanno 60000000 (60milioni) di euro l’anno. Più, facciamo i tre quinti, di quelli che comprano solo il giornale. Almeno altri 108000000 (108milioni) di euro l’anno (1 euro x 360 x 300000). E siamo già a 168milioni di euro all’anno. Poi arriva il grosso: le pubblicità. Considera che il costo di una pagina intera in bianco e nero sull’edizione Milanese di “la Repubblica” costa sui 23mila euro. Una doppia pagina a colori ti costa più di 70mila euro. E stiamo parlando delle edizioni locali. Comprarsi l’ultima pagina costa anche 4-5 volte tanto. E qui i calcoli diventano un po’ più complessi. Ma facciamo, mantenendosi bassi bassi (ma bassi bassi, eh) 500mila euro al giorno? Fanno 182500000 (182milioni500mila) euro l’anno. Già arriviamo a 350,5milioni. In più si beccano pure i finanziamenti pubblici all’editoria. “La Repubblica” si becca più di 16milioni di euro all’anno. E fanno oltre 365milioni di euro l’anno, tenendosi bassi e arrotondando per difetto. Ah, e non stiamo considerando gli introiti degli abbonamenti e delle pubblicità dell’edizione online. Sai quanto pagano i giornalisti a pezzo? Dai 30 ai 50 euro LORDI. E stiamo parlando sempre di “la Repubblica” che è uno dei giornali che paga di più.
      Hai capito perché questi giornalisti disgraziati sono costretti a leccare il culo al proprio padrone? Gente che magari ha studiato giornalismo e ci dedica 24 ore di tempo al giorno per guadagnare una miseria. Fatti due calcoli e ti rendi conto di quanti articoli devono scrivere per portare a casa un minimo di stipendio decente. Per questo devono scrivere pezzi paraculi e leccare il culo al direttore che, a sua volta, deve leccare un po’ il culo a chi paga le pubblicità (i grossi industriali e imprenditori, mica l’idraulico o la parrucchiera) e ai politici che lo appoggiano e fanno arrivare i finanziamenti.
      E c’è ancora chi pensa che l’informazione sia libera!

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