Idolatria del potere

Idolatria del potere e controllo di massa
Ingegneria della coscienza e controllo di massa.

Uno degli aspetti fondamentali per il potere è quello relativo al controllo. Come è possibile che pochi riescano a governare su molti? Se lo era già chiesto Étienne de La Boétie nel suo famoso libello Discorso sulla servitù volontaria. Nell’articolo Siamo sudditi di un Impeuro? abbiamo dimostrato come la definizione di “impero” calzi a pennello all’attuale situazione europea. Siamo ancora oggi sudditi, nonostante l’era moderna. Anzi, probabilmente lo siamo ancor più che nel passato poiché nell’ultimo secolo il potere è riuscito a sviluppare enormemente tecniche e metodologie relative ad un settore specifico del controllo, quello mentale. Un esempio pratico lo abbiamo già osservato in uno dei Nostri articoli più letti,  Aldo Moro, Signoraggio Bancario e le strane coincidenze: durante il sequestro dello statista le Brigate Rosse furono manipolate in modo strategico dallo psichiatra Steve Pieczenik, assistente del sottosegretario USA nel 1978, inviato in missione da Washington.
Cercheremo di fare il punto sulla storia e le tecniche del controllo di massa, probabilmente in una serie di articoli. Andiamo per gradi e facciamo qualche passo indietro.

Gli agenti dell’élite mondiale sono stati da sempre impegnati nella guerra contro i popoli della Terra. L’avidità è il motore trainante di questa guerra, un’avidità così penetrante da colpire l’intero pianeta insieme agli esseri che lo popolano. In tempi recenti tutto questo è stato giustificato con un certo tipo di filosofia, quella del controllo delle masse, che è ormai arrivata a perseguiere l’obiettivo della manipolazione totale della vita dell’essere umano, plasmandone addirittuara la percezione di sé e della realtà che lo circonda.
Pur essendo la brama di potere rintracciabile sin dalla notte dei tempi, un particolare interesse sul tema si sviluppò in Germania a partire dalla fine del XIX secolo, contemporaneamente alla sua espansione militare ed industriale, grazie alle quali divenne la maggiore potenza europea. La rivoluzione nel pensiero filosofico e scientifico di questo Paese si sarebbe poi diffusa a livello mondiale portando dei miglioramenti tecnologici positivi, ma anche, paradossalmente, parecchi aspetti negativi.
Il repentino cambiamento da una situazione politica relativamente debole e di economia povera ad una di potenza mondiale e di prosperità risultò di grande impatto sul carattere della Germania e del suo popolo. La visione materialista della vita, all’epoca, era già diffusa a livello mondiale e l’idolatria del potere non si limitava ai confini tedeschi, ma il loro effetto risultò devastante e corrosivo per una nazione che non era abituata al potere.
Uno degli aspetti di questo cambiamento, l’idolatria del potere, fu la trasformazione negativa delle scienze psicologiche. I precedenti approcci umanistici relativi alla comprensione dell’essere umano furono sostituiti alla fine del XIX secolo da una filosofia scientifica che sarebbe stata utilizzata non più per capire l’Uomo, ma come giustificazione ad un nuovo feudalesimo e come meccanismo di controllo puro.

La revisione materialista della psicologia fu in gran parte introdotta dal lavoro dello psicologo tedesco Wilhelm Maximilian Wundt, professore di filosofia all’Università di Lipsia che nel 1875 stabilì il primo laboratorio di psicologia mondiale. È interessante notare che prove documentali dimostrano l’appartenenza del nonno di Wundt alla società segreta degli Illuminati. Non sarebbe quindi irragionevole pensare che anche il nipote ne fosse membro.
Riflettendo in pieno l’ondata di materialismo nel pensiero tedesco, cominciata con Schopenhauer all’inizio del XIX secolo e successivamente culminata con Karl Marx, Wundt rifiutò completamente l’idea romantica che l’Uomo avesse potuto avere un’anima o qualche altro aspetto profondo se non quello puramento fisico, ossia trattandolo come un qualsiasi animale. Seguendo questa linea di pensiero, che sarebbe poi diventata nota in psicolgia col nome di Strutturalismo, Wundt sottolineò che tutti gli studi psicologici avrebbero dovuto dipendere esclusivamente dallo studio delle reazioni del corpo. Secondo il professore i segreti dell’essere umano si sarebbero potuti scoprire  solamente attraverso mezzi meccanici: misurazioni, analisi e dissezioni di corpi. In seguito all’influenza delle idee di Wundt nel campo delle scienze psicologiche, molti scienziati (ed i membri dell’élite per i quali lavoravano) si sentirono giustificati ed autorizzati a trattare gli essere umani come meri pezzi di carne.
La dottrina della psicologia materialista si diffuse rapidamente attraverso almeno ventiquattro laboratori stabiliti dagli studenti di Wundt tra il 1883 ed il 1893, ansiosi di espandere gli studi in altri campi, come quello dell’educazione. L’approccio materialistico del professor Wundt avrebbe influenzato il pensiero dei maggiori psicologi, psichiatri, educatori e sociologi del XX secolo.
Uno dei personaggi che seguì il mantra di Wundt fu un russo: Ivan Petrovič Pavlov. Pavlov condusse un’ampia gamma di ricerche relative alle tecniche di controllo, utilizzando principalmente cani per i suoi esperimenti. Famoso è l’esperimento nel quale stimolava la salivazione dei soggetti attraverso il cibo mentre contemporaneamente faceva suonare una campanella. Dopo un certo numero di volte la salivazione del cane veniva provocata direttamente con il solo suono della campana. Altri esperimenti condotti da Pavlov prevedevano l’utilizzo di ricompense o punizioni. Attraverso questi approcci, Pavlov sviluppò la sua teoria dei riflessi condizionati, dimostrando che gli animali agiscono in base a  modelli di reazioni condizionate e che il condizionamento può essere indotto artificialmente. I risultati degli esperimenti di Pavlov non sfuggirono ai pianificatori sociali dell’epoca e nemmeno a quelli successivi.

In un prossimo articolo svilupperemo un altro aspetto relativo al controllo di massa: l’eugenetica. Seguiteci su sporchibanchieri.wordpress.com. È un ordine!

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Rosy Bindi protegge la Mafia?

Rosy Bindi Mafia
Una terribile gaffe o un inquietante lapsus freudiano?

Il 22 ottobre 2013 Maria Rosaria Bindi, meglio conosciuta come Rosy Bindi, è stata eletta presidente della Commissione parlamentare antimafia. Non male per una che qualche mese prima, in occasione della propria candidatura alle primarie del Partito Democratico in Calabria, ammetteva candidamente di non sapere nulla sulla mafia. Comunque la picciotta ha imparato in fretta. Il giorno dopo esser stata eletta ha dichiarato: «Gli scopi e le finalità della Commissione [antimafia] sono quelli di combattere la lotta alla Mafia». Ecco il video con le sue inequivocabili parole. L’avvertimento è stato lanciato: chiunque provi a mettersi contro la Mafia potrebbe scatenare l’ira della Bindi e dei suoi scagnozzi. Del resto qualche sentore del suo essere mafioso lo aveva dato già dato da tempo, almeno secondo quanto affermato da Luigi Lusi nel maggio 2012 davanti alla Giunta per le autorizzazioni del Senato. Secondo il tesoriere della Margherita, infatti, parte dei soldi sottratti dalle casse del partito venivano dirottati proprio a favore della nuova presidente della Commissione parlamentare antimafia.

Ovviamente si fa per scherzare, non vorremmo ritrovarci una testa di cavallo mozzata dentro al letto. Signora Bindi baciamo le mani.

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Il Governo delle larghe Intese Sanpaolo

Il Governo delle larghe Intese SanPaolo
Come al solito i politici favoriscono gli istituti di credito e non i cittadini.

Se qualcuno avesse avuto ancora dei dubbi, ecco l’ennesima prova che dimostra quello che ormai tutti dovrebbero sapere: la politica è alle dipendenze dei banchieri.
Con la Legge di Stabilità, quei servi zerbini e camerieri delle banche chiamati politici hanno regalato ai cosiddetti istituti di credito un’anticipazione delle detrazioni fiscali su Ires e Irap per circa 1,8 miliardi di euro. Ecco i benefici fiscali che riceveranno nel triennio 2013-2015: Unicredit 726 milioni, Intesa Sanpaolo 590 milioni, Banco Popolare 135 e UBI Banca 120 milioni. Non poteva mancare il Monte dei Paschi di Siena, che per l’anno in corso riceverà benefici per 101 milioni di euro.
Come se non bastasse, le banche riceveranno un ulteriore regalo, ovviamente con i soldi pubblici, grazie al piano casa voluto dal ministro delle infrastutture Maurizio Lupi. Infatti, altri 2 miliardi elargiti alla Cassa Depositi e Prestiti S.p.A. potranno essere attinti dagli istituti di credito per finanziare mutui garantiti da ipoteca su immobili residenziali.

Risulta ormai evidente che siamo sudditi di un impero, capeggiato da banchieri con il loro seguito di faccendieri. Sono loro i veri evasori fiscali che ci hanno ridotto come schiavi, appropiandosi del valore e della proprietà della moneta (come descritto nell’articolo Auriti, il valore indotto e la proprietà della moneta), nonché truffando la collettività attraverso un debito impossibile da ripagare (vedere l’articolo Signoraggio Bancario: perché il debito è inestinguibile?).
I partiti, da destra a sinistra, eseguono in timoroso silenzio gli ordini di questi criminali, ben sapendo che se facessero in maniera differente rischierebbero la pelle. Lo abbiamo già visto in un’analisi che abbiamo fatto poco tempo fa: Aldo Moro, Signoraggio Bancario e le strane coincidenze.
Solo i fessi credono alle opposizioni fra politici, i quali fanno finta di discutere e farsi la guerra su questioni in realtà irrilevanti. Quando si tratta di leccare il culo ai banchieri sono tutti d’accordo. Dovrebbe ormai essere evidente con questo governo delle larghe Intese Sanpaolo.

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Come aiutare i popoli della Terra

Come salvare i popoli della terra
Lezione di altruismo per un mondo migliore.

«Aiutiamoli, aiutiamoli!». Come aiutare i popoli della Terra: prima ci vuole una bella “missione di pace” nei loro Paesi, tanto per avere una scusa per annichilire la popolazione locale ed impadronirsi delle risorse presenti. Poi, dopo aver distrutto tutto e depredato qualsiasi cosa, si fa un bel piano di ricostruzione per aiutarli, perché siamo buoni e tanto i soldi non ce li mettiamo noi, ce li mettono i fessi di altri Paesi ancora. Magari questi piani di ricostruzione, che in realtà ci servono per speculare, li chiamiamo con nomi altisonanti, come progetto New Eden, tanto la gente è ignorante e ci casca sempre. Per evitare gli ultimi sprazzi di resistenza da parte di quei pochi rimasti che non vogliono piegarsi totalmente alla schiavitù, costrigiamo questi esseri inferiori ad andarsene in altri Paesi, facendo credere loro di poter finalmente trovare l’Eden. Così questi coglionazzi sottosviluppati emigrano rischiando la vita e spendendo quei pochi denari che hanno, non sapendo che in realtà, se sono fortunati, raggiungeranno un altro inferno abitato da altri disgraziati come loro, che, incazzati già per i propri problemi di sopravvivenza, vedendosi sommersi da un ulteriore problema, scateneranno una guerra “civile” tra poveracci. Così noi esseri superiori e privilegiati del mondo – privilegiati ma buoni – potremmo sfruttare la situazione seguendo il vecchio motto “Divide et Impera“: chi sopravviverà a questa specie di “selezione naturale” da noi creata, potrà avere la fortuna di farci da schiavo. Certo, magari non è il massimo, ma è pur sempre meglio di niente, soprattutto per voi esseri inferiori del cazzo.

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Intervista integrale a Erich Priebke del luglio 2013

Intervista integrale a Erich Priebke
Le ultime dichiarazioni del capitano delle SS in occasione del suo centesimo compleanno.

INTERVISTA RILASCIATA DA ERICH PRIEBKE A FINE LUGLIO 2013

D – Sig. Priebke, anni addietro lei ha dichiarato che non rinnegava il suo passato. Con i suoi cento anni di età lo pensa ancora?
R – Sì.

D – Cosa intende esattamente con questo?
R – Che ho scelto di essere me stesso.

D – Quindi ancora oggi lei si sente nazista.
R – La fedeltà al proprio passato è qualche cosa che ha a che fare con le nostre convinzioni. Si tratta del mio modo di vedere il mondo, i miei ideali, quello che per noi tedeschi fu la Weltanschauung e ancora ha a che fare con il senso dell’amor proprio e dell’onore. La politica è un’altra questione. Il Nazionalsocialismo è scomparso con la sconfitta, e oggi non avrebbe comunque nessuna possibilità di tornare.

D – Della visione del mondo di cui lei parla fa parte anche l’antisemitismo.
R – Se le sue domande sono mirate a conoscere la verità è necessario abbandonare i luoghi comuni: criticare non vuol dire che si vuole distruggere qualcuno. In Germania sin dai primi del Novecento si criticava apertamente il comportamento degli ebrei. Il fatto che gli ebrei avessero accumulato nelle loro mani un immenso potere economico e di conseguenza politico, pur rappresentando una parte in proporzione assolutamente esigua della popolazione mondiale, era considerato ingiusto. È un fatto che ancora oggi, se prendiamo le mille persone più ricche e potenti del mondo, dobbiamo constatare che una notevole parte di loro sono ebrei, banchieri o azionisti di maggioranza di imprese multinazionali. In Germania poi, specialmente dopo la sconfitta della prima guerra mondiale e l’ingiustizia dei trattati di Versailles, immigrazioni ebraiche dall’est europeo avevano provocato dei veri disastri, con l’accumulo di immensi capitali da parte di questi immigrati in pochi anni, mentre con la repubblica di Weimar la grande maggioranza del popolo tedesco viveva in forte povertà. In quel clima gli usurai si arricchivano e il senso di frustrazione nei confronti degli ebrei cresceva.

D – Quella che gli ebrei abbiano praticato l’usura ammessa dalla loro religione, mentre veniva proibita ai cristiani, è una vecchi storia. Cosa c’è di vero secondo lei?
R – Infatti non è certo una mia idea. Basta leggere Shakespeare o Dostoevskij per capire che simili problemi con gli ebrei sono storicamente effettivamente esistiti, da Venezia a San Pietroburgo. Questo non vuole assolutamente dire che gli unici usurai all’epoca fossero gli ebrei. Ho fatto mia una frase del poeta Ezra Pound: «Tra uno strozzino ebreo e uno strozzino orfano non vedo nessuna differenza».

D – Per tutto questo lei giustifica l’antisemitismo?
R – No, guardi, questo non significa che tra gli ebrei non ci siano persone perbene. Ripeto, antisemitismo vuol dire odio, odio indiscriminato. Io anche in questi ultimi anni della mia persecuzione, da vecchio, privato della libertà ho sempre rifiutato l’odio. Non ho mai voluto odiare nemmeno chi mi ha odiato. Parlo solo di diritto di critica e ne sto spiegando i motivi. E le dirò di più: deve considerare che, per loro particolari motivi religiosi, una grossa parte di ebrei si considerava superiore a tutti gli altri esseri umani. Si immedesimava nel “Popolo Eletto da Dio” della Bibbia.

D – Anche Hitler parlava della razza ariana come superiore.
R – Sì, Hitler è caduto anche lui nell’equivoco di rincorrere questa idea di superiorità. Questa è stata una delle cause di errori senza ritorno. Tenga conto comunque che un certo razzismo era la normalità in quegli anni. Non solo a livello di mentalità popolare, ma anche a livello di governi e addirittura di ordinamenti giuridici. Gli Americani, dopo aver deportato le popolazioni africane ed essere stati schiavisti, continuavano a essere razzisti, e di fatto discriminavano i neri. Le prime leggi, definite razziali, di Hitler non limitavano i diritti degli ebrei più di quanto fossero limitati quelli dei neri in diversi stati USA. Stessa cosa per le popolazioni dell’India da parte degli inglesi; e i francesi, che non si sono comportati molto diversamente con i cosiddetti sudditi delle loro colonie. Non parliamo poi del trattamento subito all’epoca dalle minoranze etniche nell’ex URSS.

D – E quindi come sono andate peggiorando in Germania le cose, secondo lei?
R – Il conflitto si è radicalizzato, è andato crescendo. Gli ebrei tedeschi, americani, inglesi e l’ebraismo mondiale da un lato, contro la Germania che stava dall’altro. Naturalmente gli ebrei tedeschi si sono venuti a trovare in una posizione sempre più difficile. La successiva decisione di promulgare leggi molto dure resero in Germania la vita veramente difficile agli ebrei. Poi nel novembre del 1938 un ebreo, un certo Grynszpan, per protesta contro la Germania uccise in Francia un consigliere della nostra ambasciata, Ernest von Rath. Ne seguì la famosa “Notte dei cristalli”. Gruppi di dimostranti ruppero in tutto il Reich le vetrine dei negozi di proprietà degli ebrei. Da allora gli ebrei furono considerati solo e soltanto come nemici. Hitler dopo aver vinto le elezioni, li aveva in un primo tempo incoraggiati in tutti i modi a lasciare la Germania. Successivamente, nel clima di forte sospetto nei confronti degli ebrei tedeschi, causato dalla guerra e di boicottaggio e di aperto conflitto con le più importanti organizzazioni ebraiche mondiali, li rinchiuse nei lager, proprio come nemici. Certo per molte famiglie, spesso senza alcuna colpa, questo fu rovinoso.

D – La colpa quindi di ciò che gli ebrei hanno subito secondo lei sarebbe degli ebrei stessi?
R – La colpa è un po’ di tutte le parti. Anche degli alleati che scatenarono la seconda guerra mondiale contro la Germania, a seguito della invasione della Polonia, per rivendicare territori dove la forte presenza tedesca era sottoposta a continue vessazioni. Territori posti dal trattato di Versailles sotto il controllo del neonato Stato polacco. Contro la Russia di Stalin e la sua invasione della restante parte della Polonia nessuno mosse un dito. Anzi, a fine conflitto, ufficialmente nato per difendere proprio l’indipendenza della Polonia dai tedeschi, fu regalato senza tanti complimenti tutto l’est europeo, Polonia compresa, a Stalin.

D – Quindi, politica a parte, lei sposa le teorie storiche revisioniste.
R – Non capisco perfettamente cosa si intenda per revisionismo. Se parliamo del processo di Norimberga del 1945 allora posso dirle che fu una cosa incredibile, un grande palcoscenico creato a posta per disumanizzare di fronte all’opinione pubblica mondiale il popolo tedesco e i suoi capi. Per infierire sullo sconfitto oramai impossibilitato a difendersi.

D – Su quali basi afferma questo?
R – Cosa si può dire di un autonominatosi tribunale che giudica solo i crimini degli sconfitti e non quelli dei vincitori; dove il vincitore è al tempo stesso pubblica accusa, giudice e parte lesa e dove gli articoli di reato erano stati appositamente creati successivamente ai fatti contestati, proprio per condannare in modo retroattivo? Lo stesso presidente americano Kennedy ha condannato quel processo definendolo una cosa “disgustosa”, in quanto «si erano violati i principi della costituzione americana per punire un avversario sconfitto».

D – Se intende dire che il reato di crimini contro l’umanità con cui si è condannato a Norimberga non esisteva prima che fosse contestato proprio da quel tribunale internazionale, c’è da dire in ogni caso che le accuse riguardavano fatti comunque terribili.
R – A Norimberga i tedeschi furono accusati della strage di Katyn, poi nel 1990 Gorbaciov ammise che erano stati proprio loro stessi russi accusatori, ad uccidere i ventimila ufficiali polacchi con un colpo alla nuca nella foresta di Katyn. Nel 1992 il presidente russo Eltsin produsse anche il documento originale contenente l’ordine firmato da Stalin.
I tedeschi furono anche accusati di aver fatto sapone con gli ebrei. Campioni di quel sapone finirono nei musei USA, in Israele e in altri Paesi. Solo nel 1990 un professore della università di Gerusalemme studiò i campioni dovendo infine ammettere che si trattava di un imbroglio.

D – Sì, ma i campi di concentramento non sono un’invenzione dei giudici di Norimberga.
R – In quegli anni terribili di guerra, rinchiudere nei lager (in italiano sono i campi di concentramento) popolazioni civili che rappresentavano un pericolo per la sicurezza nazionale era una cosa normale. Nell’ultimo conflitto mondiale l’hanno fatto sia i russi che gli USA. Questi ultimi in particolare con i cittadini americani di origine orientale.

D – In America, però, nei campi di concentramento per le popolazioni di etnia giapponese non c’erano le camere a gas.
R – Come le ho detto, a Norimberga sono state inventate una infinità di accuse. Per quanto riguarda quella che nei campi di concentramento vi fossero camere a gas aspettiamo ancora le prove. Nei campi i detenuti lavoravano. Molti uscivano dal lager per il lavoro e vi facevano ritorno la sera. II bisogno di forza lavoro durante la guerra è incompatibile con la possibilità che allo stesso tempo, in qualche punto del campo, vi fossero file di persone che andavano alla gasazione. L’attività di una camera a gas è invasiva nell’ambiente, terribilmente pericolosa anche al suo esterno, mortale. L’idea di mandare a morte milioni di persone in questo modo, nello stesso luogo dove altri vivono e lavorano senza che si accorgano di nulla è pazzesca, difficilmente realizzabile anche sul piano pratico.

D – Ma lei quando ha sentito parlare per la prima volta del piano di sterminio degli ebrei e delle camere a gas?
R – La prima volta che ho sentito di cose simili la guerra era finita, e io mi trovavo in un campo di concentramento inglese, ero insieme a Walter Rauff. Rimanemmo entrambi allibiti. Non potevamo assolutamente credere a fatti così orribili: camere a gas per sterminare uomini, donne e bambini. Se ne parlò con il colonnello Rauff e con gli altri colleghi per giorni. Nonostante fossimo tutti SS, ognuno al nostro livello con una particolare posizione nell’apparato nazionalsocialista, mai a nessuno di noi erano giunte alle orecchie cose simili. Pensi che anni e anni dopo venni ha sapere che il mio amico e superiore Walter Rauff, che aveva diviso con me anche qualche pezzo di pane duro nel campo di concentramento, veniva accusato di essere l’inventore di un fantomatico autocarro di gasazione. Cose di questo genere le può pensare solo chi non ha conosciuto Walter Rauff.

D – E tutte le testimonianze della esistenza delle camere a gas?
R – Nei campi le camere a gas non si sono mai trovate, salvo quella costruita a guerra finita dagli Americani a Dachau. Testimonianze che si possono definire affidabili sul piano giudiziario o storico a proposito delle camere a gas non ce ne sono; a cominciare da quelle di alcuni degli ultimi comandanti e responsabili dei campi, come per esempio quella del più noto dei comandanti di Auschwitz , Rudolf Höss. A parte le grandi contraddizioni della sua testimonianza, prima di deporre a Norimberga fu torturato e dopo la testimonianza per ordine dei russi gli tapparono la bocca impiccandolo. Per questi testimoni, ritenuti preziosi dai vincitori, le violenze fisiche e morali in caso di mancanza di condiscendenza erano insopportabili; le minacce erano anche di rivalsa sui familiari. So per l’esperienza personale della mia prigionia e quella dei miei colleghi, come, da parte dei vincitori, venivano estorte nei campi di concentramento le confessioni ai prigionieri, i quali spesso non conoscevano nemmeno la lingua inglese. Poi il trattamento riservato ai prigionieri nei campi russi della Siberia oramai è cosa nota, si doveva firmare qualunque tipo di confessione richiesta; e basta.

D – Quindi per lei quei milioni di morti sono un’invenzione.
R – Io ho conosciuto personalmente i lager. L’ultima volta sono stato a Mauthausen nel maggio del 1944 a interrogare il figlio di Badoglio, Mario, per ordine di Himmler. Ho girato quel campo in lungo e in largo per due giorni. C’erano immense cucine in funzione per gli internati e all’interno anche un bordello per le loro esigenze. Niente camere a gas. Purtroppo tanta gente è morta nei campi, ma non per una volontà assassina. La guerra, le condizioni di vita dure, la fame, la mancanza di cure adeguate si sono risolti spesso in un disastro. Però queste tragedie dei civili erano all’ordine del giorno non solo nei campi ma in tutta la Germania, soprattutto a causa dei bombardamenti indiscriminati delle città.

D – Quindi lei minimizza la tragedia degli ebrei: l’Olocausto?
R – C’è poco da minimizzare: una tragedia è una tragedia. Si pone semmai un problema di verità storica. I vincitori del secondo conflitto mondiale avevano interesse a che non si dovesse chiedere conto dei loro crimini. Avevano raso al suolo intere città tedesche, dove non vi era un solo soldato, solo per uccidere donne, bambini e vecchi e così fiaccare la volontà di combattere del loro nemico. Questa sorte è toccata ad Amburgo, Lubecca, Berlino, Dresda e tante altre città. Approfittavano della superiorità dei loro bombardieri per uccidere i civili impunemente e con folle spietatezza. Poi è toccato alla popolazione di Tokyo e infine con le atomiche ai civili di Nagasaki e Hiroshima. Per questo era necessario inventare dei particolari crimini commessi dalla Germania e reclamizzarli tanto da presentare i tedeschi come creature del male e tutte le altre sciocchezze: soggetti da romanzo dell’orrore su cui Hollywood ha girato centinaia di film.
Del resto da allora il metodo dei vincitori della seconda guerra mondiale non è molto cambiato: a sentire loro esportano la democrazia con cosiddette missioni di pace contro le canaglie, descrivono terroristi che si sono macchiati di atti sempre mostruosi, inenarrabili. Ma in pratica attaccano soprattutto con l’aviazione chi non si sottomette. Massacrano militari e civili che non hanno i mezzi per difendersi. Alla fine, tra un intervento umanitario e l’altro nei vari Paesi, mettono sulle poltrone dei governi dei burattini che assecondano i loro interessi economici e politici.

D – Ma allora certe prove inoppugnabili come filmati e fotografie dei lager come le spiega?
R – Quei filmati sono un’ulteriore prova della falsificazione: provengono quasi tutti dal campo di Bergen Belsen. Era un campo dove le autorità tedesche inviavano da altri campi gli internati inabili al lavoro. Vi era all’interno anche un reparto per convalescenti. Già questo la dice lunga sulla volontà assassina dei tedeschi. Sembra strano che in tempo di guerra si sia messo in piedi una struttura per accogliere coloro che invece si volevano gasare. I bombardamenti alleati nel 1945 hanno lasciato quel campo senza viveri, acqua e medicinali. Si è diffusa un’epidemia di tifo petecchiale che ha causato migliaia di malati e morti. Quei filmati risalgono proprio a quei fatti, quando il campo di accoglienza di Bergen Belsen devastato dall’epidemia, nell’aprile 1945, era ormai nelle mani degli alleati. Le riprese furono appositamente girate, per motivi propagandistici, dal regista inglese Hitchcock, il maestro dell’horror. È spaventoso il cinismo, la mancanza di senso di umanità con cui ancora oggi si specula con quelle immagini. Proiettate per anni dagli schermi televisivi, con sottofondi musicali angoscianti, si è ingannato il pubblico associando, con spietata astuzia, quelle scene terribili alle camere a gas, con cui non avevano invece nulla a che fare. Un falso!

D – II motivo di tutte queste mistificazioni, secondo lei, sarebbe coprire i propri crimini da parte dei vincitori?
R. In un primo tempo fu così. Un copione uguale a Norimberga fu inventato anche dal Generale McArthur in Giappone con il processo di Tokyo. In quel caso per impiccare si escogitarono altre storie e altri crimini. Per criminalizzare i giapponesi che avevano subito la bomba atomica, si inventarono all’epoca persino accuse di cannibalismo.

D – Perché in un primo tempo?
R – Perché successivamente la letteratura sull’Olocausto è servita soprattutto allo stato di Israele per due motivi. Il primo è chiarito bene da uno scrittore ebreo figlio di deportati: Norman Finkelstein. Nel suo libro L’industria dell’Olocausto spiega come questa industria abbia portato, attraverso una campagna di rivendicazioni, risarcimenti miliardari nelle casse di istituzioni ebraiche e in quelle dello stato di Israele. Finkelstein parla di “un vero e proprio racket di estorsioni”. Per quanto riguarda il secondo punto, lo scrittore Sergio Romano, che non è certo un revisionista, spiega che, dopo la “guerra del Libano”, lo stato di Israele ha capito che incrementare ed enfatizzare la drammaticità della “letteratura sull’Olocausto” gli avrebbe portato vantaggi nel suo contenzioso territoriale con gli arabi e “una sorta di semi immunità diplomatica”.

D – In tutto il mondo si parla dell’Olocausto come sterminio, lei ha dei dubbi o lo nega recisamente?
R – I mezzi di propaganda di chi oggi detiene il potere globale sono inarginabili. Attraverso una sottocultura storica appositamente creata e divulgata da televisione e cinematografia, si sono manipolate le coscienze, lavorando sulle emozioni. In particolare le nuove generazioni, a cominciare dalla scuola, sono state sottoposte al lavaggio del cervello, ossessionate con storie macabre per assoggettarne la libertà di giudizio.
Come le ho detto, siamo da quasi 70 anni in attesa delle prove dei misfatti contestati al popolo tedesco. Gli storici non hanno trovato un solo documento che riguardasse le camere a gas. Non un ordine scritto, una relazione o un parere di un’istituzione tedesca, un rapporto degli addetti. Nulla di nulla.
Nell’assenza di documenti, i giudici di Norimberga hanno dato per scontato che il progetto che si intitolava “Soluzione finale del problema ebraico” allo studio nel Reich, che vagliava le possibilità territoriali di allontanamento degli ebrei dalla Germania e successivamente dai territori occupati, compreso il possibile trasferimento in Madagascar, fosse un codice segreto di copertura che significava il loro sterminio. È assurdo! In piena guerra, quando eravamo ancora vincitori sia in Africa che in Russia, gli ebrei, che erano stati in un primo tempo semplicemente incoraggiati, vennero poi fino al 1941 spinti in tutti i modi a lasciare autonomamente la Germania. Solo dopo due anni dall’inizio della guerra cominciarono i provvedimenti restrittivi della loro libertà.

D – Ammettiamo allora che le prove di cui lei parla vengano fuori. Parlo di un documento firmato da Hitler o da un altro gerarca. Quale sarebbe la sua posizione?
R – La mia posizione è di condanna tassativa per fatti del genere. Tutti gli atti di violenza indiscriminata contro le comunità, senza che si tenga conto delle effettive responsabilità individuali, sono inaccettabili, assolutamente da condannare. Quello che è successo agli indiani d’America, ai kulaki in Russia, agli italiani infoibati in Istria, agli armeni in Turchia, ai prigionieri tedeschi nei campi di concentramento americani in Germania e in Francia, così come in quelli russi, i primi lasciati morire di stenti volutamente dal presidente americano Eisenhower, i secondi da Stalin. Entrambi i capi di Stato non rispettarono volutamente la convenzione di Ginevra per infierire fino alla tragedia. Tutti episodi, ripeto, da condannare senza mezzi termini, comprese le persecuzioni fatte dai tedeschi a danno degli ebrei; che indubbiamente ci sono state. Quelle reali però, non quelle inventate per propaganda.

D – Lei ammette quindi la possibilità che queste prove, sfuggite a una eventuale distruzione fatta dai tedeschi alla fine del conflitto, potrebbero un giorno venir fuori?
R – Le ho già detto che certi fatti vanno condannati in assoluto. Quindi, se poniamo anche solo per assurdo che un domani si dovessero trovare prove su queste camere a gas, la condanna di cose così orribili, di chi le ha volute e di chi le ha usate per uccidere, dovrebbe essere indiscussa e totale. Vede, in questo senso ho imparato che nella vita le sorprese possono non finire mai. In questo caso però credo di poterle escludere con certezza, perché per quasi sessanta anni i documenti tedeschi, sequestrati dai vincitori della guerra, sono stati esaminati e vagliati da centinaia e centinaia di studiosi, sicché, ciò che non è emerso finora difficilmente potrà emergere in futuro.
Per un altro motivo devo poi ritenerlo estremamente improbabile, e le spiego il perché: a guerra già avanzata, i nostri avversari avevano cominciato a insinuare sospetti su attività omicide nei Lager. Parlo della dichiarazione interalleata dei dicembre 1942, in cui si diceva genericamente di barbari crimini della Germania contro gli ebrei e si prevedeva la punizione dei colpevoli. Poi, alla fine del 1943, ho saputo che non si trattava di generica propaganda di guerra, ma che addirittura i nostri nemici pensavano di fabbricare false prove su questi crimini. La prima notizia la ebbi dal mio compagno di corso, e grande amico, Capitano Paul Reinicke, che passava le sue giornate a contatto con il numero due del governo tedesco, il Reichsmarschall Goering: era il suo capo scorta. L’ultima volta che lo vidi mi riferì del progetto di vere e proprie falsificazioni. Goering era furibondo per il fatto che riteneva queste mistificazioni infamanti agli occhi del mondo intero. Proprio Goering, prima di suicidarsi, contestò violentemente di fronte al tribunale di Norimberga la produzione di prove falsificate.
Un altro accenno lo ebbi successivamente dal capo della polizia Ernst Kaltenbrunner, l’uomo che aveva sostituito Heydrich dopo la sua morte e che fu poi mandato alla forca a seguito del verdetto di Norimberga. Lo vidi verso la fine della guerra per riferirgli le informazioni raccolte sul tradimento dei Re Vittorio Emanuele. Mi accennò che i futuri vincitori erano già all’opera per costruire false prove di crimini di guerra ed altre efferatezze che avrebbero inventato sui lager a riprova della crudeltà tedesca. Stavano già mettendosi d’accordo sui particolari di come inscenare uno speciale giudizio per i vinti.
Soprattutto però ho incontrato nell’agosto 1944 il diretto collaboratore del generale Kaltenbrunner, il capo della Gestapo, generale Heinrich Müller. Grazie a lui ero riuscito a frequentare il corso allievi ufficiali. A lui dovevo molto e lui era affezionato a me. Era venuto a Roma per risolvere un problema personale del mio comandante, ten. colonnello Herbert Kappler. In quei giorni la quinta armata americana stava per sfondare a Cassino, i russi avanzavano verso la Germania. La guerra era già inesorabilmente persa. Quella sera mi chiese di accompagnarlo in albergo. Essendoci un minimo di confidenza mi permisi di chiedergli maggiori dettagli sulla questione. Mi disse che tramite l’attività di spionaggio si aveva avuto conferma che il nemico, in attesa della vittoria finale, stava tentando di fabbricare le prove di nostri crimini per mettere in piedi un giudizio spettacolare di criminalizzazione della Germania una volta sconfitta. Aveva notizie precise ed era seriamente preoccupato. Sosteneva che di questa gente non c’era da fidarsi, perché non avevano senso dell’onore né scrupoli. Allora ero giovane e non diedi il giusto peso alle sue parole, ma le cose poi di fatto andarono proprio come il generale Müller mi aveva detto. Questi sono gli uomini, i gerarchi, che secondo quanto oggi si dice avrebbero dovuto pensare e organizzare lo sterminio degli ebrei con le camere a gas! Lo considererei ridicolo, se non si trattasse di fatti tragici.
Per questo quando gli americani nel 2003 hanno aggredito l’Iraq con la scusa che possedeva “armi di distruzione di massa”, con tanto di falso giuramento di fronte al consiglio di sicurezza dell’ONU del Segretario di stato Powel, proprio loro che quelle armi erano stati gli unici a usarle in guerra, io mi sono detto: niente di nuovo!

D – Lei da cittadino tedesco sa che alcune leggi in Germania, Austria, Francia, Svizzera puniscono con il carcere chi nega I’Olocausto?
R – Sì, i poteri forti mondiali le hanno imposte e tra poco le imporranno anche in Italia. L’inganno sta proprio nel far credere alla gente che chi, per esempio, si oppone al colonialismo israeliano e al sionismo in Palestina sia antisemita; chi si permette di criticare gli ebrei sia sempre e comunque antisemita; chi osa chiedere le prove della esistenza di queste camere a gas nei campi di concentramento, è come se approvasse un’idea di sterminio degli ebrei. Si tratta di una falsificazione vergognosa. Proprio queste leggi dimostrano la paura che la verità venga a galla. Ovviamente si teme che dopo la campagna propagandistica fatta di emozioni, gli storici si interroghino sulle prove, gli studiosi si rendano conto delle mistificazioni. Proprio queste leggi apriranno gli occhi a chi ancora crede nella libertà di pensiero e nella importanza della indipendenza nella ricerca storica.
Certo, per quello che ho detto posso essere incriminato, la mia situazione potrebbe addirittura ancora peggiorare ma dovevo raccontare le cose come sono realmente state, il coraggio della sincerità era un dovere nei confronti del mio Paese, un contributo nel compimento dei miei cento anni per il riscatto e la dignità del mio popolo.

Nella ricorrenza dei miei 100 anni!

E. Priebke

[Consultare l’archivio documenti di sporchibanchieri.wordpress.com per la copia autografa della versione originale in PDF]

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Aldo Moro, Signoraggio Bancario e le strane coincidenze

Aldo Moro Signoraggio Bancario
Cosa accomuna diversi politici che si sono battuti per la Sovranità Monetaria?

In questo articolo analizzeremo le inquietanti coincidenze relative in particolar modo a tre esponenti politici che, poco dopo aver promosso leggi a favore della sovranità monetaria dei rispettivi Paesi, hanno poi fatto un brutta fine. Stiamo parlando di Abraham Lincoln, John Fitzgerald Kennedy e Aldo Moro.
Il problema di fondo è quello dell’emissione sovrana di moneta, ben noto per chi si occupa di Signoraggio Bancario. Abbiamo in parte toccato questo tema i due precedenti articoli: Signoraggio Bancario: perché il debito è inestinguibile? e Auriti, il valore indotto e la proprietà della moneta.
Le banche centrali di moltissimi Paesi, spacciate come istituti pubblici, ma in realtà Società per Azioni private possedute generalmente da famiglie di banchieri senza scrupoli, hanno da sempre utilizzato qualsiasi mezzo per occultare la loro vera natura e nascondere l’inganno agli occhi della popolazione.
Cerchiamo di riassumere brevemente i fatti.

Il presidente Lincoln nel 1862, ebbe un incontro privato con un amico di vecchia data, il colonnello Edmund Dick Taylor che suggerì di stampare biglietti di Stato a corso legale per fronteggiare le spese della Guerra Civile Americana scoppiata l’anno precedente. Questa idea scaturì anche a causa degli interessi usurai (dal 24 al 36 per cento) pretesi dai banchieri internazionali nell’eventualità di un prestito all’Unione. Lincoln ovviamente non accettò le condizioni poiché non voleva trascinare il proprio Paese nel baratro del debito. Così, nonostante forti opposizioni, il 25 febbraio 1862 firmò il First Legal Tender Act che autorizzava l’emissione dei biglietti di Stato, conosciuti in seguito come greenbacks, nome derivato dall’uso di inchiostri verdi per distinguerli dalle altre banconote.
Il 14 aprile 1865, durante uno spettacolo teatrale al Ford’s Theatre, John Wilkes Booth (attore che aveva più volte recitato proprio in quello stesso teatro) spara un colpo alla testa del presidente Lincoln. I lati oscuri della vicenda resteranno numerosi: l’assenza della guardia del corpo del presidente, impegnata a bersi qualche drink ed il mistero del killer, ufficialmente scovato e ucciso una decina di giorni dopo, anche se nel corso degli anni molti ricercatori hanno sostenuto che Booth fosse riuscito a scappare.

Facciamo un salto di un secolo.
John Fitzgerald Kennedy, il 4 giugno 1963, firma l’Ordine Esecutivo 11110, un decreto presidenziale che di fatto toglieva alla Federal Reserve Bank (la banca centrale presente negli Stati Uniti) il potere di stampare denaro, restituendolo al Dipartimento del Tesoro, come sancito nella Costituzione americana. Il governo USA tornava in possesso della propria sovranità monetaria grazie ad una legge esplicita che lo autorizzava a «emettere certificati d’argento a fronte di ogni lingotto di argento e dollari d’argento della Tesoreria».
Praticamente gli Stati Uniti si riprendevano il diritto di stampare moneta, collegando l’emissione di banconote alle riserve d’argento della Tesoreria, senza la necessità di chiedere prestiti ad interessi alla Federal Reserve: biglietti a corso legale sgravati dal debito all’atto di emissione. L’unica differenza visibile sulle nuove banconote rispetto alle precedenti era la dicitura: quelle successive all’ordine esecutivo di Kennedy riportavano “Biglietto degli Stati Uniti” (United States Note), le altre “Biglietto della Federal Reserve” (Federal Reserve Note).
Guarda caso pochi mesi dopo, il 22 novembre 1963, il presidente Kennedy verrà ucciso a Dallas. Dopo più di quarant’anni i punti oscuri di questo omicidio rimangono senza una plausibile e convincente spiegazione ufficiale. Al contrario, risultano ormai palesi le incongruenze, i depistaggi e le manomissioni relative alla vicenda. Come in altri casi anologhi, i poteri forti hanno manovrato nell’ombra per far passare l’idea che il tutto fosse riconducibile ad un mitomane, un povero pazzo isolato che aveva agito da solo (in questo caso Lee Harvey Oswald). Questo perché, per definizione, un’eventuale azione premeditata da più persone costituirebbe un complotto. Il che starebbe a significare l’esistenza di strategie occulte che meriterebbero un’attenzione profonda da parte del pubblico. Ed è ovvio che i criminali complottisti abbiano tutto l’interesse nel mantenere un basso profilo e non essere scoperti.
Stranamente anche lo squilibrato, l’utile idiota dell’omicidio Kennedy, verrà a sua volta messo a tacere per sempre prima ancora di poter rivelare qualche informazione compromettente, ucciso in pubblico da Jack Leon Ruby (nato Jacob Leon Rubenstein), apparentemente senza un valido movente, appena un paio di giorni dopo l’assassinio del presidente USA. Il bello è che “Sparky” Jack Ruby riuscì ad eliminare lo scomodo testimone davanti alla centrale di polizia di Dallas, proprio mentre Oswald veniva scortato da un gruppo di poliziotti al vicino carcere statale. Inutile dire che pure Ruby morirà poco dopo, ufficialmente per un’embolia polmonare, il 3 gennaio 1967, dopo aver scampato una sentenza di morte dettata dal tribunale il 14 marzo 1964. Sia Oswald che Ruby avevano dichiarato più volte di essere stati incastrati.

Facciamo notare, fra parentesi, che pure la data  della morte di Kennedy presenta una particolare coincidenza: cade esattamente cinquantatré anni dopo l’incontro (all’epoca segreto) tenuto sull’isola di Jekill (Jekill Island) fra un gruppetto di banchieri che stavano sviluppando il progetto che avrebbe portato a costituire proprio la Federal Reserve. Un fatto che potrebbe apparire casuale per chi è a digiuno di esoterismo, rituali e la logica relativa a gruppi massonici e paramassonici. Invitiamo perciò i nostri lettori ad approfondire la questione con studi e ricerche. Prossimamente pubblicheremo una serie di articoli al riguardo.

Veniamo al caso Moro. Negli anni sessanta lo statista della Democrazia Cristiana decise di finanziare la spesa pubblica italiana attraverso l’emissione di cartamoneta di Stato sgravata da debiti, in tagli da 500 lire, ossia con un “biglietto di Stato a corso legale”.
Con i DPR 20-06-1966 e 20-10-1967 del presidente Giuseppe Saragat venne regolamentata la prima emissione, la serie “Aretusa” (Legge 31-05-1966), mentre il presidente Giovanni Leone regolarizzò con il DPR 14-02-1974, la serie “Mercurio” (DM 2 aprile 1979), le famose banconote da 500 lire conosciute come “Mercurio alato”.
Già all’epoca la sovranità monetaria dell’Italia era limitata: allo Stato era concesso (chiedetevi, fra l’altro, da chi fosse “elargita” questa concessione) solamente il diritto di conio delle monete attraverso la Zecca, mentre le banconote venivano aquistate dal Fondo Monetario Internazionale. Un po’ come accade oggi, dove ai singoli Paesi europei spetta il diritto di coniare gli euro di metallo ma non le banconote, che vengono emesse dalla Banca Centrale Europea. Per questo quando nel 2002 Giulio Tremonti, all’epoca ministro dell’Economia, propose di sostituire le monete da uno e due euro, Wim Duisenberg, primo governatore della BCE, rispose con un avvertimento: «Spero che Mr. Tremonti si renda conto che se tale banconota dovesse essere introdotta, egli perderebbe il diritto di signoraggio che si accompagna ad essa. Dunque se egli, come ministro dell’Economia, ne sarebbe contento non lo so».  Fra parentesi ci sarebbe anche da indagare sulla strana morte di Duisenberg, avvenuta il 31 luglio 2005, nemmeno due giorni dopo le sentenze di rinvio a giudizio pronunciate a Milano contro le filiali Deutsche Bank, UBS, Morgan Stanley e Citygroup partite dai procuratori che stavano indagando sul crac Parmalat. Ricordiamo che il banchiere olandese era stato eletto primo presidente della Banca Centrale Europea proprio grazie all’appoggio del colosso bancario tedesco. Coincidentemente, nelle stesse ore, precipitava dalla finestra del suo appartamento di New York Arthur Zankel, ex membro del consiglio di Citybank.

Ma forse stiamo divagando troppo, torniamo alle 500 lire cartacee emesse dai governi Moro.
Lo statista, per ovviare ai limiti imposti di cui sopra, utilizzò un brillante stratagemma. Dopo aver autorizzato il conio delle 500 lire di metallo, fece una deroga che permetteva, contemporaneamente, l’emissione della versione cartacea, che poteva in questo modo essere stampata ugualmente dalla Zecca di Stato.
Il 16 marzo 1978 Aldo Moro venne rapito e ucciso il 9 maggio dello stesso anno. Casualmente, in seguito al tragico avvenimento, l’Italia smise di emettere biglietti di Stato.
Come per gli omici di Lincoln e Kennedy, anche in questo caso i punti oscuri sono numerosissimi.
Uno dei fattori comuni è il ruolo dei servizi segreti. La versione ufficiale che additava la responsabilità alle fantomatiche Brigate Rosse non hai mai convinto le persone minimamente informate sui fatti. La strategia della tensione era chiaramente funzionale alla volontà di destabilizzare l’Italia, obiettivo confermato e dichiarato anche nell’Operazione Chaos e nell’Operazione Condor in America latina (fra i tanti misteri dei Servizi, mai sentito parlare dell’ufficio K?).
Più volte è stata avanzata l’ipotesi dei tre livelli delle BR: base ideologizzata utilizzata come manovalanza, alcuni capicolonna eterodiretti come Mario Moretti ed il centro studi Hyperion di Parigi, una scuola di lingue usata come copertura per uno degli avamposti della CIA in Europa, il corrispettivo francese della Gladio italiana, il tutto parte della rete NATO “Stay Behind”.
I dubbi su Moretti (capo effettivo delle Brigate Rosse durante il sequestro Moro) circa il suo ruolo di infiltrato, spia e doppiogiochista dei servizi segreti sono stati sollevati più volte dagli stessi brigatisti, ad esempio Alberto Franceschini, Renato Curcio, Giorgio Semeria e Valerio Morucci o da personaggi come il senatore Sergio Flamigni, che definì il capo brigatista “la sfinge”. Addirittura vennero fatti degli accertamenti da parte di alcuni esponenti delle BR su questo losco individuo, prima del sequestro dello statista, ma non ne venne fuori nulla e così Moretti rimase ai vertici dell’organizzazione.
È ormai risaputa la presenza del colonnello del Sismi Camillo Guglielmi in via Stresa la mattina dell’agguato e del rapimento di Moro avvenuto in via Fani, a soli duecento metri di distanza. Cosa ci facesse da quelle parti non è mai stato chiarito. E nemmeno un’altra delle miriadi di coincidenze: nello stesso palazzo in via Gradoli 96 dove viveva Moretti al tempo del sequestro c’erano almeno 24 appartamenti intestati a società immobiliari fra i quali amministratori figuravano membri dei servizi segreti. Al secondo piano dello stabile viveva un’informatrice della polizia, mentre al n° 98 della solita via abitava un compaesano di Moretti, agente segreto militare ed ex ufficiale dei carabinieri.

Qualche anno fa nel libro Nous avons tué Aldo Moro di Emmanuel Amara pubblicato da Patrick Robin Editions (uscito in Italia con il titolo Abbiamo ucciso Aldo Moro. Dopo trent’anni un protagonista esce dall’ombra edito da Cooper e curato da Nicola Biondo), Steve Pieczenik, assistente del sottosegretario Usa nel 1978, psichiatra, specialista in “gestioni di crisi”, esperto di terrorismo, mandato in missione da Washington su “invito” di Francesco Cossiga durante i cinquantacinque giorni del sequestro, ha rivelato: «Ho messo in atto la manipolazione strategica che ha portato alla morte di Aldo Moro al fine di stabilizzare la situazione dell’Italia. I brigatisti avrebbero potuto cercare di condizionarmi dicendo “o soddisfate le nostre richieste e lo uccidiamo”. Ma la mia  strategia era “No, non è così che funziona, sono io a decidere che dovete ucciderlo a vostre spese”. Mi aspettavo che si rendessero conto dell’errore che stavano commettendo e che liberassero Moro, mossa che avrebbe fatto fallire il mio piano. Fino alla fine ho avuto paura che liberassero Moro. E questa sarebbe stata una grossa vittoria per loro».
Pieczenik non solo ha ammesso di aver intavolato una falsa trattativa con i brigatisti, ma dice spudoratamente che uno degli obiettivi fu quello di costringere le Brigate Rosse ad uccidere Moro: «La mia ricetta per deviare la decisione delle BR era di gestire un rapporto di forza crescente e di illusione di negoziazione. Per ottenere i nostri risultati avevo preso psicologicamente la gestione di tutti i Comitati (del Viminale n.d.r.) dicendo a tutti che ero l’unico che non aveva tradito Moro per il semplice fatto di non averlo mai conosciuto».
Il colpo di grazia venne inferto quando risultò evidente che Moro fosse ormai disperato e si decise di attuare il piano della Duchessa, un falso comunicato da attribuire alle Brigate Rosse: «I brigatisti non si aspettavano di trovarsi di fronte ad un altro terrorista che li utilizzava e li manipolava psicologicamente con lo scopo di prenderli in trappola. Avrebbero potuto venirne fuori facilmente, ma erano stati ingannati. Ormai non potevano fare altro che uccidere Moro. Questo il grande dramma di questa storia. Avrebbero potuto sfuggire alla trappola, e speravo che non se ne rendessero conto, liberando Aldo Moro. Se lo avessero liberato avrebbero vinto, Moro si sarebbe salvato, Andreotti sarebbe stato neutralizzato e i comunisti avrebbero potuto concludere un accordo politico con i democristiani. Uno scenario che avrebbe soddisfatto quasi tutti. Era una trappola modestissima, che sarebbe fallita nel momento stesso in cui avessero liberato Moro».
Secondo le parole di Pieczenik Cossiga era d’accordo con praticamente la maggior parte delle scelte proposte: «Moro, in quel momento, era disperato e avrebbe sicuramente fatto delle rivelazioni piuttosto importanti ai suoi carcerieri su uomini politici come Andreotti. È in quell’istante preciso che io e Cossiga ci siamo detti che bisognava cominciare a far scattare la trappola tesa alle BR. Abbandonare Moro e fare in modo che morisse con le sue rivelazioni. Per giunta i carabinieri e i servizi di sicurezza non lo trovavano o non volevano trovarlo».
Gli obiettivi raggiunti con questa strategia furono molteplici: venne eliminato Moro, le BR furono messe a tacere e fu possibile entrare in possesso del vero memoriale e delle registrazioni dell’interrogatorio dello statista italiano. Quello dell’esponente della Democrazia Cristiana è stato un sacrificio umano, come dichiarato apertamente da Pieczenik: «Mai l’espressione “ragion di Stato” ha avuto più senso come durante il rapimento di Aldo Moro in Italia». E come ogni rituale, la scena del delitto era carica di simbologia esoterica, evidente soprattutto per gli iniziati. Il discorso merita un articolo a parte, che verrà pubblicato prossimamente. La cosa meno esoterica fu la seduta spiritica alla quale partecipò Romano Prodi, dove venne fuori la parola “Gradoli”, il nome della via in cui era situato il covo dei sequestratori di Moro. Quella stessa via nella quale erano presenti immobili di proprietà dei servizi segreti. Ovviamente la seduta spiritica fu un escamotage per tenere sotto copertura la fonte della soffiata che comunque venne deliberatamente ignorata. Venne sviata l’attenzione su Gradoli in provincia di Viterbo, arrivando addirittura ad affermare che non esistesse nessuna via a Roma con quel nome.
Va anche tenuto presente che all’epoca del sequestro i massimi dirigenti dei Servizi erano appartenenti alla Loggia P2. Senza considerare che alcuni anni prima, durante la visita negli Stati Uniti dello statista italiano nel settembre 1974, Henry Kissinger lo minacciò pesantemente, come riferito dal portavoce di Moro, Corrado Guerzoni, davanti ai giudici. Per non parlare della testimonianza della moglie dell’esponente della DC, che dichiarò alla commissione parlamentare a proposito delle evidenti minacce fatte al marito da parte della delegazione americana: «Lei deve smettere di perseguire il suo piano politico di portare tutte le forze del suo paese a collaborare direttamente. Qui, o lei smette di fare questa cosa, o lei la pagherà cara, veda lei come la vuole intendere».

Un’altra delle numerose coincidenze fu la morte di Pier Paolo Pasolini che, guarda caso, aveva espresso pubblicamente le sue perplessità, avanzando ipotesi e connessioni tra “stragi di Stato”, poteri forti, servizi segreti internazionali, politici, petrolieri e banchieri. Già nel 1975 aveva fatto notare che la “Strategia della Tensione” era cominciata il 12 dicembre 1969 proprio con l’attacco alle sedi di tre banche: la Banca Nazionale dell’Agricoltura di Piazza Fontana a Milano, la Banca Commerciale Italiana, anch’essa a Milano (dove per fortuna la bomba rimase inesplosa) e la Banca Nazionale del Lavoro in via Veneto a Roma.
La Banca Nazionale dell’Agricoltura, che aveva comiciato ad emettere le 500 lire cartacee poco prima di questi tragici eventi, casualmente interruppe l’emissione dei biglietti di Stato a corso legale dopo gli attentati.

Guardatevi il video della relazione di Marco Saba sul tema di Signoraggio Bancario e stragi di Stato. Sentite cosa dice a proposito dei libri Il bilancio dello Stato – Un istituto in trasformazione – Franco Angeli / La finanza pubblica (1977) di Giuliano Passalacqua e del Libro bianco del Ministero del Tesoro (1969): «A proposito dei buoni ordinari del tesoro, il grado di liquidità dei BOT può essere uguale a quello della base monetaria se la Banca d’Italia li acquista senza limiti ad un prezzo uguale a quello di emissione». In poche parole la Banca d’Italia (quando era un po’ più statale di ora) poteva comprare illimitatamente BOT alla pari, senza dover pagare interessi; praticamente come se lo Stato italiano si fosse stampato la propria moneta. Come riferisce Marco Saba, la cosa importante da notare è che questa era la pratica che effettivamente esisteva in Italia fino al 1969, anno della strage di piazza Fontana e delle bombe nelle banche. Senza considerare il discorso sui residui passivi.
Altro tema interessante è quello sulle guerre, le quali hanno quasi sempre a che vedere con il ricatto ed il potere bancario nei confronti dei Paesi che hanno le banche nazionalizzate ed una gestione della moneta a livello statale. Saba pone l’esempio della rivoluzione iraniana che cominciò quando Khomeini fece due leggi contro l’usura e nazionalizzò le banche.

Chissà perché chi si occupa di denunciare e contrastare le attività criminose di banchieri senza scrupoli generalmente non fa una bella fine. Per esempio Federico Caffè, scomparso alle prime luci dell’alba dalla sua casa a Roma, dove viveva con il fratello Alfonso, il 15 aprile nel 1987 (coincidentemente lo stesso giorno della morte del presidente Abraham Lincoln). Un paio di anni prima, il 27 marzo 1985, il suo allievo Ezio Tarantelli venne ucciso nel parcheggio dell’Università La Sapienza, attentato poi rivendicato dalle fantomatiche Brigate Rosse per la costruzione del Partito Comunista Combattente.
Sia ben inteso, sono tutte coincidenze.

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Signoraggio Bancario e disinformazione

Signoraggio Bancario e disinformazione
Semplice ignoranza, mancanza di capacità di raziocinio o qualcosa di più?

Scopriamo che nel blog Riflessioni in Libertà di Gianni Comoretto, un “astronomo curioso”, veniamo citati direttamente con un link in relazione al nostro articolo Signoraggio Bancario: perché il debito è inestinguibile? che definisce “favoletta”.
L’atteggiamento è quello classico di chi si pone già ad un livello superiore, di quelli che non si sprecano troppo in spiegazioni data la loro altura, con in più un pizzico di paraculismo per equilibrare il tutto (fra l’altro, dopo aver letto l’articolo, ci accorgiamo che fra i pochi link esterni c’è quello al sito del C.I.C.A.P., che è già tutto un programma).

Infatti dopo l’introduzione sciorina una serie di affermazioni che, oltre alle spiccate modalità da paternale, fanno intravedere anche un po’ di ipocrisia: «Non voglio difendere i banchieri. La finanza ha grossissime responsabilità, ma purtroppo non quelle indicate nella favoletta». Ovviamente, dopo aver lanciato il sasso, nasconde la mano. Non ci è dato sapere, da parte sua, quali siano quindi le grosse responsabilità della finanza. È la fortuna di nascere superiori: non sono dovute delucidazioni. Prosegue infatti affermando: «E se non si capiscono i motivi veri di qualcosa difficilmente si troverà una soluzione. Se poi usi la soluzione sbagliata, anche quando hai trovato il colpevole vero non stai impedendogli di continuare a danneggiarti». I veri motivi e le soluzioni Camoretto non ce le fornisce. L’importante è ridicolizzare quelle degli altri. Dice l’astronomo curioso, dopo aver riassunto la sua versione della “favoletta”, che «in questo ragionamento ci sono talmente tanti errori che è difficile anche solo elencarli tutti in un singolo articolo, per cui mi limiterò a risolvere il paradosso del banchiere». Peccato che il ragionamento (se proprio così vogliamo definirlo) pieno d’errori sia proprio il suo.

Tanto per cominciare facciamo notare che nell’esempio dell’isola la convertibilità in oro, il Gold Standard, è solo apparente, infatti alla fine si scopre che l’oro a copertura delle banconote stampate non c’è. Questo per spiegare con una metafora che il valore della monetà è indotto, frutto di una convenzione delle persone che decidono di accettare come mezzo di pagamento un pezzo di carta straccia: come racconta spesso Auriti nei suoi lavori, se un banchiere si mette a stampare banconote su di un’isola deserta, queste non avranno valore. Per spiegare il concetto di valore indotto possiamo utilizzare anche l’esempio del biglietto da 100 euro falso: se nessuno si accorge della contraffazione e magari arriva a circolare di mano in mano in tutto il mondo, questa banconota avrà ugualmente assolto la propria funzione di mezzo di scambio alla stessa maniera di una banconota genuina.  Questo perché il valore della moneta non lo genera chi la stampa, ma chi decide di utilizzarla.

Quindi già qui cominciamo male. In più l’affermazione del Camoretto pare essere impregnata di quella finta oggettività di chi chi si vuole spacciare per persona ragionevole ed equilibrata, dando pure apparentemente un po’ di torto all’altra campana, in questo caso il blog Signoraggio Informazione Corretta, un sito che avevamo notato qualche anno fa e che ci era puzzato subito di blog civetta, come del resto ce ne sono per altri argomenti scottanti, per esempio le scie chimiche. Una delle classiche tattiche dei disinformatori: fare i finti attivisti, essere “contro” in apparenza, per poi manipolare nelle modalità più subdole i polli che in buona fede pensano di essere capitati con persone dalla loro stessa parte. Informazione Corrotta, insomma, altro che. Quindi tirare in ballo il Gold Standard, più che non centrare il punto, non c’entra proprio niente col ragionamento.

Prosegue l’astronomo curioso fornendo quella che lui spaccia come nostra soluzione, manipolando sottilmente le parole e mettendoci in bocca cose mai dette: «Secondo gli autori della storia […] La soluzione sarebbe che gli stati si stampino direttamente i soldi, in quantità sufficiente a ripagare tutti i debiti pubblici».
Chi conosce il funzionamento del Signoraggio Bancario, nota subito l’evidente macchinazione dell’affermazione precedente, che mischia cose vere con cose false, creando una frase palesemente supida per poi metterla in bocca a chi si vorebbe ridicolizzare in modo che qualche sprovveduto, leggendo l’articolo, possa cascarci e pensare: «Guarda questi cosa dicono, hanno torto per forza».
Infatti se gli Stati stampassero direttamente la propria moneta, ossia fossero in possesso della sovranità monetaria, semplicemente non ci sarebbero debiti pubblici da ripagare. L’inganno del Signoraggio deriva dal fatto che il sistema monetario sia basato su una moneta-debito all’atto di emissione.
È come se un tipografo che stampasse i biglietti di uno spettacolo di Marco Travaglio, venduti al pubblico a quaranta euro, esigesse dal teatro come pagamento per il proprio lavoro l’intero prezzo del biglietto più gli interessi. In questo modo il teatro (lo  Stato) non solo non riuscirebbe a guadagnarci niente, ma sarebbe matematicamente impossibilitato nel poter ripagare il debito. Il biglietto stampato dal tipografo sarebbe gravato di debito già all’atto di emissione.

Il curioso Camoretto, poi, sviluppa ulteriori modifiche personali alla storia dei naufraghi sull’isola e se la suona e canta da solo. Insomma, riscrive il racconto, adulterandolo, e ci risponde a noi (ovviamente in maniera critica), come se la storia da lui rimaneggiata fosse la nostra.
Siccome per cercare di farsi tornare il ragionamento finale deve tirar fuori da qualche parte 1000 euro un più, sentite come la prende alla larga e prova a ricamarci sopra, merita davvero. Comincia col chiedersi se il banchiere della storia mangi o meno, si vesta, usufruisca di vari servizi come l’idraulico, il falegname, l’elettricista. Perché, dice il curioso astronomo, mica può il banchiere stare seduto tutto l’anno dietro la scrivania aspettando che gli ritornino indietro i denari. C’avrà da campa’ pure il banchiere, da pagare le spese. Quindi il banchiere, nella versione modificata dal curioso, si stampa per sé altri mille euro, ma badate bene, non se li stampa e basta, se li presta! Meno male che la “favoletta” è la nostra. Avete mai sentito, o anche solo immaginato in un delirio derivato da qualche infermità mentale o qualche droga psicotropa, che uno si presti i soldi da solo, pagandoci pure gli interessi? Come se il famoso tipografo, oltre a pretendere dal teatro il prezzo al pubblico stampato sul biglietto più gli interessi (praticamente una colossale fregatura per il teatro), si stampasse pure un biglietto per sé, vendendoselo e comprandoselo da solo, autopagandosi gli interessi. Sarebbe lo strozzino di sé stesso.
Si vede che a stare sempre con la testa fra le nuvole a mirar le stelle si perde di lucidità ed il contatto con la realtà.

A parte che il non ragionamento, la fregnaccia in libertà, risulta ridicolo sotto più punti di vista. Per farsi tornare la fava letta… hem la favoletta, si arrampica sui muri con la scusa che il banchiere non può starsene seduto tutto il tempo aspettando la fine dell’anno il ritorno degli interessi. Come se un qualsiasi investitore che avesse delle azioni della compagnia XY, invece di aspettare i dividendi alla fine dell’anno, dicesse alla società quotata: «Oh, mica posso aspettare la fine dell’anno che arrivino i soldi, qualcuno mi deve sganciare un po’ di grana ORA!». Ma daaaai!!! Non contento della quantità incredibile di ragionamenti bislacchi, l’autore di favole per allucinati rincara la dose dicendo che il povero banchiere (meno male che non difendeva i banchieri, anche se dai modi sembra proprio il contrario, manco fossero dei parenti stretti) alla fine dell’anno avrà terminato i suoi mille euro e che «in fondo per fare il lavoro di banchiere usa del tempo» – come se gli altri non utilizzassero il proprio tempo quando lavorano – e poveretto, non riesce a fare tutte le altre cose che gli altri fanno per vivere [sic!] o addirittura «ne fa di meno», perché «con soli 1000 euro l’anno non campa, quindi deve fare anche altro»! Ahahaha!!! Incredibile vero? Pensate che questo dice di essere “astrofisico”! Dice che costruisce addirittura telescopi. Ci viene il sospetto che più che telescopi siano delle pipe della pace. Perché dice di essere pure un accanito pacifista. Però allo stesso tempo si prende la briga di attacare, nei modi più disparati (anche con metodi abbastanza subdoli), perfetti sconosciuti a giro per la Rete.
Insomma, lo sfortunato banchiere è l’unico a farsi il mazzo per lavorare, come se stampare banconote fosse di gran lunga più faticoso che zappare la terra, ed è l’unico che con mille euro non vive, mentre agli altri, secondo i deliri astronomici del curioso, mille euro dovrebbero bastare e avanzare. Ahahah Caporetto, sei forte (come direbbe Celentano), fai schianta’ dalle risate.

Prosegue l’accozzaglia di farfugliamenti dicendo che «incidentalmente i 1000 euro di tutti gli isolani girano di mano molte, molte volte nell’anno, perché tutti han bisogno di mangiare, di riparare oggetti, eccetera».
Questo lo dice presumibilmente per insinuare implicitamente che i mille euro del banchiere vengono spesi e finiscono nelle mani degli altri isolani per poter poi dire che i soldi per ripagare gli interessi ci sono. Avete capito perché il soggettone abbia modificato la “favoletta”, facendo passare la versione rimaneggiata come fosse la versione originale? Sarebbe come prendere la Gioconda di Leonardo da Vinci e tirarci qualche secchiata di vernice e di letame e poi avere il coraggio di affermare: «Certe che questo Leonardo non sapeva dipingere una mazza». Hahaha. Tutto ‘sto casino per farsi tornare il ragionamento, che alla fine non torna ugualmente. Il Caporetto, infatti, si scorda che, ammettendo pure l’esistenza dei famosi mille euro in più necessari a ripagare gli interessi, cioè dando pure per buona la simpatica favoletta da lui propinata, a fine anno andrebbe teoricamente restituita la somma intera del prestito, non solamente gli interessi. E se mille euro, secondo le stesse parole dell’astronomo, non bastano per la sopravvivenza del “povero” banchiere, perché mai dovrebbero bastare agli altri? Come se solo il banchiere avesse delle spese durante l’anno, mentre i “ricchi” isolani no, i quali evidentemente a fine anno si ritrovano con il capitale iniziale senza essere intaccato, più gli interessi. Secondo questi fumosi deliri, il banchiere è l’unico che spende fiumi di denaro che affluiscono a senso unico verso le casse degli isolani che, per una misteriosa legge ineffabile, non solo trafficano e vivono senza spendere un soldo, ma addirittura riescono a moltiplicare i denari dal nulla. Chissà come fa l’isolano a compiere il miracolo per cui riesce a spendere mille euro per comprarsi la capanna e allo stesso tempo a ritrovarseli in tasca a fine anno, con in più gli interessi, per poterli restituire al banchiere.
Evidentemente quello abituato a vivere di favolette è proprio il curioso astronomo, che pare confondere la realtà con la storia di Pinocchio che nel Paese di Barbagianni, ingannato dal Gatto e la Volpe, seppelisce le sue monete sperando di far nascere un albero pieno di zecchini. Solo che pure nel racconto di Collodi non solo non si moltiplicano gli zecchini, ma vengono rubate addirittura quelle poche monete reali del capitale iniziale.

Non contento dell’incredibile quantità di fesserie proprinate, Caporetto si avvia alla conclusione affermando che «se si forma per qualsiasi motivo un debito (di solito perché si spende più di quello che si guadagna), e questi raggiunge livelli confrontabili con diverse volte il reddito annuo, pagare gli interessi diventa un problema», ignorando almeno duemila anni di storia ed alcune delle principali culture a livello mondiale: quella cristiana, musulmana ed ebraica. L’antico problema del prestare soldi ad interesse da parte di chi stampa moneta, non fa ovviamente parte del suo bagaglio culturale, a voler pensare bene.
Prosegue farfugliando un altro paio di fregnacce, quasi incomprensibili: a quanto pare si è reso conto solo ora dei problemi relativi a deficit e PIL, visto che secondo lui sono stati per anni tenuti nascosti «sotto il tappeto» (non sarà mica anche lui un “teorico del complotto”, un “complottista”, come dicono alcune persone?).

Ma la perla il nostro Caporetto ce l’ha riservata per il gran finale. Oltre a sfoggiare ulteriormente la propria presunzione super partes («nel caso dei debiti degli stati va sicuramente capito in dettaglio come si sono mossi i flussi finanziari, chi ci ha guadagnato e perché, se si vuole arrivare a soluzioni eque») senza sentire il bisogno di fornire un minimo di spiegazioni, il genio conclude con questa frase: «Ma è semplicemente falso che sia stata la creazione di moneta a creare il debito pubblico, o che sia impossibile pagare gli interessi senza creare nuova moneta, all’infinito». Sì, avete letto bene, ha scritto proprio così! Non si capisce se si contraddica da solo o se semplicemente non abbia alcun senso logico qualsiasi parte del suo discorso. A parte che non è ancora chiaro se c’è o ci fa (probabilmente entrambe le cose), visto che continua a mettere sullo stesso piano sistemi monetari differenti, ignorando la lapalissiana differenza, per esempio, tra una moneta d’oro di proprietà del portatore e una banconota da cinquanta euro. Ma se le cose stessero come dice il curioso astronomo, e cioè che non sia impossibile pagare gli interessi del debito pubblico senza stampare altra moneta, ci spiega allora perché le banche continuano a creare liquidità dal nulla prestando ad interesse ancora più soldi ai Paesi debitori, indebitandoli sempre di più? Non li legge i giornali? Ma non diceva di essere curioso? Fra gli esempi recenti quello della Grecia indebitata con la BCE, che riceve ulteriori prestiti (ovviamente ad interesse) per poter ripagare i prestiti precedenti, creando un circolo vizioso ed infinito. Ma non li sa fare due conti? Eppure, dati i suoi teorici studi, un po’ di matematica avrebbe dovuto studiarla. A maggior ragione considerando che il soggetto rinfaccia sempre agli altri di non sapere fare bene i conti, come fa con il fisico Corrado Penna.
Se invece di perdere tempo a disinformare, spendesse anche qualche minuto per informarsi, sarebbe meglio. Saremmo curiosi di chiedergli, per esempio, mille euro in prestito. Se fosse coerente con i suoi discorsi (ammettendo che ci sia un qualche tipo di coerenza nei suoi discorsi), nel caso non fossimo in grado di restituire i mille euro, ci dovrebbe prestare, senza batter ciglio, ulteriori soldi per pagare il debito precedente. Voi che dite, ce lo vedete?

Fra l’altro ci siamo accorti di un piccolissimo particolare: Caporetto ci tiene a precisare di non voler difendere i banchieri, poi però pubblicizza la Banca Etica. Anzi, non solo la pubblicizza, ma è addirittura coordinatore dei soci della circoscrizione fiorentina. Non per essere maliziosi, ma la cosa puzza abbastanza di marcio, per lo meno risulta alquanto contraddittoria se non ridicola. Anche l’ostentare relazioni con associazioni e compagnia bella a tema equo e solidale, volontariato e pacifista sembra un poco voler a tutti costi dare un’immagine di sé che, a giudicare da cosa scrive e come si comporta, per quello che possiamo vedere, molto probabilmente è ben lontana dalla realtà (tralasciamo il fatto che la foto che pubblica di sé stesso a noi risulti essere a sinistra, e non a destra come da lui affermato).

Non si capisce poi l’accanimento di tutta una serie di individui su questioni che loro stessi definiscono bufale colossali, panzane, ridicole stupidaggini. Se fossero davvero immani fesserie di menomati mentali, perché la combriccola di geni dalle spiccate capacità razionali spreca innumerevoli risorse, energie e tempo, per disquisire con degli stupidi, quando non per ridicolizzarli e prenderli in giro? Per di più, anche dal punto di vista etico, il tutto risulterebbe di uno squallore e di una bassezza disumani (ma non si vantava, il curioso astronomo, di essere socio di Banca Etica, di essere solidale e bla bla bla?). Che fate, vi mettete a prendere per i fondelli e a deridere persone che voi stessi definite ai limiti delle capacità di intendere e di volere? Facciamo un esempio pratico, tanto per essere ancora più chiari.
C’era un matto nel nostro paese che diceva a tutti, anche con toni molto accesi, che sarebbero arrivate delle astronavi dallo spazio «per farci il cu#o», però nessuno si è mai preoccupato ed il poveretto è stato sempre ignorato sotto questo punto di vista, nessuno ha mai solamente pensato di prendersi la briga di dedicare enormi quantità di tempo, creare siti e fare conferenze a giro per il mondo per dimostrare che quello che diceva il pazzo fossero solamente delle fesserie.

Se volete farvi quattro risate leggetevi i commenti all’articolo del Comeretto (Interessi e moneta: il paradosso del banchiere nell’isola): i dialoghi tra lui ed un certo Nicholas sono da antologia dell’assurdo, ricordano le scenette con Totò e Peppino. Sono talmente ridicoli che sembrano preparati a tavolino. Fenomenali. Il curiosone riesce a rifilare le ultime fregnacce proprio in fondo all’ultimo commento (quello del 31 luglio 2012 ore 12:08): «Correttamente (cosa che i signoraggisti invece negano) il banchiere ci guadagna grazie agli interessi, non per l’emissione di moneta». Il fatto di mettere in bocca ad altri frasi mai pronunciate è uno dei vizietti dell’astronomo. Infatti nessuno ha mai negato che i banchieri ci guadagnino pure con gli interessi. Ma poi chi sarebbero i “signoraggisti”? Quelli che si occupano di Signoraggio Bancario? Allora anche lui è un signoraggista, visto che ci dedica articoli interi. O forse preferisce essere chiamato “anti-signoraggista”? Visto che si occupa, secondo le sue stesse parole, di bufale, paranormale, telescopi e fesserie di vario tipo, allora lui sarebbe un “bufalista”, “paranormalista”, “telescopista” e “fesseriista”?
Ma l’apice del ridicolo il “bischerista” di Arcetri lo raggiunge con la frase successiva: «Anche i 1000 euro che presta a se’ stesso li restituisce usando gli interessi raccolti». A parte il penoso errore grammaticale, appare evidente un totale deficit a livello logico. Il curioso personaggio ribadisce ancora una volta, per tutti quelli che avessero pensato che magari pocanzi si fosse solamente espresso un po’ male, che secondo le sue paranormali teorie il banchiere si presta i soldi da solo e se li restituisce pure: «Mi devo dei soldi. Se non me li restituisco entro oggi alle cinque mi tocca prendermi a calci da solo e darmi fuoco alla macchina. Spero solo di essere un po’ ragionevole con me stesso e di poter guadagnare un paio di giorni di tempo. Magari potrei prestarmi altri mille euro. Chissà cosa mi dirò oggi pomeriggio».

Vi lasciamo con l’ultima chicca di questo curioso personaggio, questa foto di un aereo con luna sulla sfondo. Secondo l’illuminato uomo di scienza lo scatto dimostrerebbe che un aeroplano è perfettamente visibile a occhio nudo a 13 km di distanza (in altri articoli si spinge fino a 14500 metri, quasi quindici chilometri)! Come descrizione alla foto riporta: «Gli aerei a 10 km non si distinguono ad occhio nudo? Un 747 a 13 km, accanto alla Luna». Non si capisce se anche la foto sia stata scattata «ad occhio nudo». Ahhahaha questo qui è un genio veramente, altro che Benigni o Grillo. Si vede che per deformazione professionale non riesce a staccare l’occhio dal telescopio. Quando fa l’esame dall’oculista, le lettere le osserva almeno da qualche decina di chilometri, se no non ci trova gusto.
L’ennesimo esempio italiano di cervello in fuga, mentre il fisico è rimasto qua. Poi ci meravigliamo del bassissimo livello culturale del nostro Paese, oltre a quello relativo all’informazione (61° posto secondo la classifica di Reporter Senza Frontiere).
Per chi volesse scoprire l’incredibile tecnica fotografica che rende possibile ottenere lo scatto di un ciclista (o di un aereo) dalle dimensioni della luna sullo sfondo, consultate il blog (in tedesco) di Philipp Schmidli o quest’articolo in inglese: Silhouettes in a Giant Moonrise, Captured Using a 1200mm Lens. Stranamente, scommettiamo con grande stupore da parte del Caporetto, non viene citato nessun “naked eye” (occhio nudo), ma un teleobiettivo da 1200mm ed una distanza tra soggetto e macchina fotografica di 1,3 chilometri.

[Nell’immagine di copertina potete osservare una bugia ben visibile a occhio nudo, anche se in notturna e da una distanza di duecento chilometri, talmente grande da raggiungere le dimensioni di una luna piena]

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Calderoli, gli orango non sono africani!

Calderoli fauna politica italiana
Il creatore di porcate e la fauna politica italiana.

In questo periodo estivo di golpe di Stato e larghe intese volevamo segnalare un sito, un social blog: I discutibili. In particolare la rubrica di Bortocal con i suoi commenti video. Da non perdere.
Volevamo inoltre rassicurare i nostri lettori sulla nostra apparente assenza durante le ultime settimane: si tratta più che altro di una non presenza. Se non siamo stati tanto attivi con il Nostro blog, lo siamo stati un po’ di più in altri blog.
Tanto per fare un esempio, ecco un commento che abbiamo appena fatto a questa Videolettera di un orango a Calderoli:

Se è per questo nemmeno Calderoli è “padano”. Pensa, c’ha pure la cittadinanza italiana. Anzi, c’ha solo quella italiana. Nemmeno un mezzo certificato ufficiale, una d.o.c., un qualcosa come il Grana.
Ci sono i neonazisti di Alba Dorata Italia che dicono che Calderone fa queste sparate, palesi cazzate che fanno indignare l’opinione pubblica, proprio per favorire la Kyenge e l’ascesa dei musulmani al governo.
Con tutte ‘ste sparate sembra lo sbarco in Normandia. Solo che il D-day, pur essendo stato il “giorno più lungo”, era comunque un giorno e basta. Da noi sono almeno vent’anni, porca miseria. Aridatece le guerre puniche!
Rimanendo in tema di fauna politica italiana, ma Calderoli non si è implicitamente autodefinito un “porco”? Se i poeti fanno le poesie, i cantanti le canzoni, i gelatai i gelati, ecc…, chi è che fa le porcate? Che poi non è pure un po’ merito suo e delle sue porcat..hem… della sua legge elettorale se la Kyenge è al governo?
Fra l’altro nelle dichiarazioni relative all’orango ravvediamo un evidente conflitto di interessi, visto che Calderone è chirurgo maxillo-facciale: non vorrà mica mettere le mani nel muso al ministro, inteso a livello professionale, e magari farsi pure pagare una porcell…hem… una parcella? No, perché la Cécile è medico oculista. Magari potrebbero farsi uno scambio di prestazioni professionali.
Roma ladrona, però sono tutti a Roma. Calderone è un altro di quelli che Kyenge e fotte.

Un saluto a tutti

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L’Egitto copia l’Italia e sospende la Costituzione

L’Egitto copia l’Italia e sospende la Costituzione
L’unica differenza: da noi il presidente non è ai domiciliari, anzi.

Il 3 luglio l’ANSA pubblica come notizia principale l’articolo dal titolo «Golpe in Egitto, sospesa la Costituzione», a proposito della crisi scoppiata al Cairo.

Ma perché, in Italia la Costituzione è ancora in vigore? Vediamo un po’, prendiamone un articolo a caso per vedere se viene rispettato. Cominciamo proprio con l’art. 1, parte dei principi fondamentali: «L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione». Già qui non ci siamo per niente, cominciamo proprio male. Che il nostro non sia un Paese democratico se ne sono ormai accorti quasi tutti, basta pensare agli ultimi governi Monti e Letta: un golpe al cerchio e uno alla botte. Altro che golpe d’Egitto. Per quanto riguarda il lavoro, c’è poco da dire, è un fatto notorio l’altissimo tasso di disoccupazione, soprattutto giovanile. Il più alto registrato dal 1977, e solo perché prima non veniva registrato alcun dato. Quindi, come avevamo spiegato nell’articolo Delegittimazione dell’ordinamento giuridico italiano, delle due l’una: o l’Italia non è una Repubblica, o la Costituzione non ha più valore.

Che dire poi della sovranità, concetto mitologico e fantascientifico nel nostro Paese? Può defenirsi sovrano un popolo che “ospita” sul proprio territorio diverse basi militari di potenze straniere che per di più, come è stato reso noto proprio in questi giorni con la vicenda relativa al Datagate, spiano istituzioni e cittadini del Paese ospitante? In realtà, che fossimo sotto controllo, era ovvio anche ad un bambino. Non parliamo poi della “legge porcata” e ancor meno della sovranità monetaria: l’abbiamo persa da almeno una trentina d’anni. Stiamo in procinto di perdere pure la sovranità alimentare. La sovranità appartiene ormai ai banchieri e alle élites mondiali.

L’art. 3 stabilisce: «È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese».
Purtoppo gli ostacoli lo Stato sembra metterli di continuo, visto che siamo uno dei Paesi con la burocrazia più paralizzante e con le tasse più alte del mondo. Questo triste primato contrasta anche con il seguente articolo della Costituzione, l’art. 4: «La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società».
A giudicare l’andazzo di questi ultimi anni risulta evidente che lo Stato non abbia assolutamente promosso le condizioni necessarie ai cittadini per poter esercitare il proprio diritto al lavoro. Basta dare un’occhiata alle “riforme” in tema di occupazione dell’ultima decade. Per esempio la legge Biagi che ha lanciato la moda della “flessbilità”. Ovviamente la flessibilità, di 90° circa, è totalmente a carico dei lavoratori. Geniale poi, la trovata di dare alla normativa il nome di una persona morta ammazzata un anno prima dell’approvazione della legge, attribuendole una falsa paternità. Così se uno prova a criticare una legge palesemente disastrosa lo si mette in soggezione con un «ma che vuoi mancare di rispetto ai morti vittime di agguati?».
Meno male che poi è arrivata la riforma Fornero, sacrifici, lacrime e sangue, “Salva-Italia”. Si è visto come ci abbiano salvati.

Vediamo l’art. 5: «La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali». Peccato che l’Italia sia una colonia USA e che sia schiava dell’Europa e della sua burocrazia centralizzata. Bella l’autonomia locale dei vicentini succubi della U.S. Army arroccata e in continua espansione sul territorio Italiano. Oltre a spiarci, i militari USA utilizzando il nostro Paese come deposito di stoccaggio per un centinaio di testate nucleari (il numero preciso vallo a sapere), alla faccia degli italiani che hanno ribadito più volte il no nei confronti del nucleare. Se, a causa dei potenziali rischi, non vogliamo centrali nucleari che servirebbero a produrre energia elettrica, figuariamoci se siamo d’accordo ad utilizzare il nostro territorio e patrimonio come maggazzino per bombe atomiche, dalle quali può scaturire solo l’energia devastante di un’arma abominevole. Sorte analoga ai vicentini e ad altri cittadini italiani quella dei siciliani vittime delle imposizioni sul MUOS (Mobile User Objective System, un sistema di satelliti ad altissima frequenza probabilmente correlato alle armi non convenzionali della guerra climatica). Ah, che profumo di autonomia e sovranità!

Continuiamo con l’art. 9: «La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione».
Non vi sentite presi per il culo? Perché a Noi sembra che, al massimo, l’impegno dello Stato italiano sia di promuovere la cultura e la ricerca, ma fuori dal nostro Paese. Forse abbiamo interpretato male la norma e va bene anche così. Però non siamo proprio convinti che i tagli alla scuola, alla ricerca, la burocrazia pachidermica e cazzi vari facessero parte della visione ideale dei padri costituenti. Con la nazione afflitta da una profonda depressione e migliaia di cervelli in fuga all’estero, l’unico problema del capo del governo in tutti questi anni è stata la figa nel cervello che probabilmente è servita a lenire solamente la sua, di depressione.
Meno male che invece il paesaggio ed il patrimonio storico e artistico viene salvaguardato. Bellissimo il panorama offerto dal relitto della Costa Concordia che fortunatamente, a differenza dagli impegni presi, è ancora lì dopo un’anno e mezzo. Peccato per l’Isola del Giglio che rovina un po’ il quadro. La vicina Isola dell’Elba, nella quale veniva estratto il ferro, ha invece ispirato il nome del famoso colosso siderurgico Ilva, il cui impianto principale a Taranto è noto per aver tutelato lo splendido paesaggio.
Altri esempi conosciuti di savaguardia del territorio da parte dello Stato sono l’ecomostro di Punta Perotti edificato nel 1995 a Bari. Alla fine venne demolito nel 2006. Peccato che l’anno scorso la Corte europea abbia condannato lo Stato italiano a risarcine i propietari con la modica cifra di 49 milioni di euro. Becchi e bastonati.
Chissà chi risarcirà gli italiani e l’umanità intera (sarebbero da risarcire anche Flora e Fauna) per i danni incalcolabili crati dalle decine navi dei veleni affondate nel Mediterraneo. In questi loschi traffici hanno preso parte attivamente politici, membri del governo e servizi segreti, come racconta in una video intervista de «l’Espresso» il collaboratore di giustizia Francesco Fonti, che aveva come referente diretto Ciriaco De Mita, con il quale l’ex boss della ‘Ndrangheta discuteva e fissava prezzi per lo “smaltimento” di rifiuti tossici. Ma oltre a tutelare il paesaggio ed il territorio italiano, i politici italiani si sono preoccupati anche di salvaguardare quello di altri Paesi come la Somalia, definita “pattumiera” da Craxi, per bocca di De Michelis. Secondo le parole di Fonti, uomini delle istituzioni si rivolgevano (e si rivolgono tutt’ora) alle mafie per “smaltire” rifiuti tossici di vario tipo, nucleari e chimici. Altro che trattativa Stato-Mafia, è una collaborazione amichevole fra soci. Lo sapeva bene Ilaria Alpi.
Anche per quanto riguarda la tutela del patrimonio storico non siamo messi bene. Proprio in questi giorni si celebra il settimo crollo in due anni all’interno della Villa dei Misteri a Pompei. Situazione analoga a Tivoli con il degrado di Villa Adriana, tanto che il presidente del Consiglio superiore dei Beni Culturali Andrea Carandini, in occasione di un altro crollo, quello della Domus Aurea del 2010, ebbe a dire: «Temo che quello che è accaduto martedì alla Domus Aurea possa capitare anche a Villa Adriana».

Proseguiamo con l’analisi degli articoli della Costituzione italiana che sembra essere stata sospesa pro tempore. L’art. 11 dice chiaramente che «l’Italia ripudia la guerra», però poi fa le guerre a giro per il mondo (Afghanistan, Libia, Balcani, Iraq, guarda un po’ pure la Somalia, ecc..: dal dopoguerra ad oggi le forze armate italiane hanno partecipato ad almeno 120 operzioni militari, di cui 35 tutt’ora in corso), chiamandole “operazioni di pace”, di peace keeping, addirittura di “imposizione della pace” (peace enforcement). Ma le vanno a fare, queste missioni, con caccia bombardieri, cararmati e truppe d’assalto. Tanto paghiamo noi.

Vabbe’, potremmo proseguire, ma ci siamo capiti: praticamente la realtà del nostro Paese è tutto il contrario di quello scritto nella Costituzione.
Oltre alla sospenzione della Costituzione abbiamo in comune con l’Egitto il governo di tecnici. Solo che, nella terra degli antichi faraoni i tecnici sono subentrati per eliminare Morsi, da noi i tecnici i morsi, quelli della fame, li hanno accentuati.
La tattica, alla fine, è sempre la stessa: invece che guardare ai chiari di luna italiani si concentra l’attenzione sul dito egiziano. Perché da noi la Costituzione non è stata sospesa, è rispettata diligentemente sin dal giorno della sua approvazione.

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Auriti, il valore indotto e la proprietà della moneta

Giacinto Auriti, valore indotto e proprietà della moneta
Di chi sono i soldi e perché hanno valore?

In questo articolo analizzeremo il meccanismo reale che genera il valore della moneta e cercheremo di capire chi sia il proprietario della valuta di uno Stato all’atto di emissione.
Aristotele definì la moneta come “misura del valore”. Ma cosa è il valore? Lo spiega il professor Giacinto Auriti in uno dei suoi scritti: «Il valore è un rapporto tra fasi di tempo. Così, ad esempio, una penna ha valore perché prevediamo di scrivere; quindi il valore è un  rapporto tra il momento della previsione ed il momento previsto».
La definizione data da Aristotele, però, implica che la moneta sia anche “valore della misura”: ogni unità di misura infatti, possiede anche la qualità corrispondente a ciò che deve misurare. Come il metro che, misurando la lunghezza possiede anche la qualità della lunghezza, anche la moneta, misurando il valore, ha necessariamente intrinseca la qualità del valore, ossia, vale.
Ogni unità di misura è anche una convenzione ed ogni convenzione è una fattispecie giuridica, quindi anche la moneta è una fattispecie giuridica. Il simbolo, la convenzione monetaria, acquista valore semplicemente per il fatto che ci si mette d’accordo che lo abbia. La previsione che ognuno di noi accetti moneta in cambio di merce e viceversa ci induce ad accettare moneta a nostra volta per poi utilizzarla in cambio di prodotti. In poche parole: i soldi sono carta straccia che però acquistano valore solamente perché un’insieme di persone lo decide per convenzione, in previsione di poterli utilizzare. Siamo noi che diamo valore ai soldi. Ricordiamo, fra l’altro, che con la fine degli accordi Bretton Woods nel 1971 la moneta si sgancia completamente dalla riserva aurea, perdendo completamente la convertibilità in oro.

Giacinto Auriti parla di “valore indotto” della moneta, utilizzando il paragone con la dinamo che, per induzione, tramite il movimento, genera la corrente e quindi la luce. Le persone che decidono convenzionalmente di utilizzare una moneta, mettendola in circolo e facendola girare, le attribuiscono, le inducono valore. Il valore indotto del denaro è generato dalla rete di scambi tra i soggetti che stabiliscono di farne uso. Come la luce diventa più forte all’aumentare della velocità di rotazione della dinamo, anche il valore, la forza della moneta, risulta maggiore all’aumentare della sua messa in circolazione. È logico: più le persone utilizzano una moneta, più questa è richiesta e guadagna valore.
Sarebbe quindi naturale pensare che la proprietà della moneta intesa come simbolo, sia da considerarsi ovviamente di quell’insieme di persone che accettano per convenzione di attribuirle un valore. Per esempio nel caso della storica Lira italiana, potrebbe essere scontato pensare che la proprietà del conio fosse stata della collettività che le dava valore accettandola, ossia degli italiani. Purtoppo, almeno durante i suoi ultimi vent’anni, non è stato così. Chiedetevi perché dalle diciture “Biglietto di Stato” e “Repubblica Italiana” (come per esempio nelle vecchie 500 Lire di carta, il “Mercurio alato”), si sia passati alla dicitura “Banca d’Italia”, presente in tutte le ambite banconote in circolazione. La scritta “Repubblica Italiana” poteva essere letta soltanto nelle monete: allo Stato italiano era rimasto il solo diritto di conio degli spiccioli di poco valore.
Se la cosa potrebbe apparire di scarsa rilevanza, bisogna ricordare che la Banca d’Italia (Bankitalia S.p.A.) non è assolutamente di proprietà dello Stato italiano, ma una S.p.A. in mano a banche private.

Cosa c’entra la proprietà della moneta? È ovvio: per prestare qualcosa bisogna anche esserne i proprietari. E di chi è la proprietà della moneta, come ad esempio l’Euro, il Dollaro o la Lira? Come è possibile che, per esempio, la BCE generi dal nulla e presti soldi agli Stati facendosi pagare, per di più, degli interessi?
C’è un vuoto giuridico, ovviamente voluto da menti sopraffine. I banchieri, che muovono i fili di quei burattini chiamati politici, ottengono da sempre leggi a proprio favore. In questo modo possono arrogarsi il diritto di stampare moneta, usurpandolo agli Stati, che perdono così la propria sovranità, a cominciare da quella monetaria. Le banche centrali, in realtà private, si appropriano del valore indotto della moneta, il valore generato dai cittadini che decidono di utilizzarla. Questi usurai particolari addirittura prestano qualcosa che sarebbe di proprietà di altri. Stampano banconote dal nulla al costo di pochi centesimi (il valore intrinseco) e le prestano agli Stati per il valore riportato sulla banconota (il valore nominale) più gli interessi. Però, come abbiamo appena visto, il valore dei soldi non è generato, in realtà, dalla banca, ma dall’insieme di persone che convenzionalmente decidono di accettare una determinata valuta.
La proprietà della moneta dovrebbe essere dei cittadini che, stampando la propria unità di misura del valore, genererebbero un reddito di cittadinanza all’atto di emissione, sgravato fra l’altro degli interessi dovuti ad una banca privata.
Con il sistema imposto dalla dittatura bancaria tutto il denaro in circolazione, la massa monetaria, è essenzialmente un debito nei confronti della banca centrale. Per questo il debito pubblico diventa inestinguibile, come abbiamo spiegato nell’articolo Signoraggio Bancario: perché il debito è inestinguibile?

Faceva giustamente notare anni fa un famoso comico: «Se i soldi sono nostri, perché ce li prestano?».

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